FilmmakerFest –Tra le macerie della guerra: Tales From the Wounded Land, di Abbas Fahdel

La prospettiva dall’alto è quella del drone che sorvola le terre devastate dai bombardamenti, le case abbattute, le macerie che occupano le strade lungo le quali si snoda il lungo corteo funebre che accompagna le bare dei tanti defunti. Questo drone cinematografico che fotografa il dolore ha la stessa prospettiva dei tanti droni da battaglia che hanno terrorizzato gli abitanti del paese nel sud del Libano in cui vive da anni Abbas Fahdel e dove questo filmmaker iracheno ha girato Tales of the Wounded Land, il documentario che ha portato in Concorso a Locarno78. La prospettiva dall’alto su cui si apre (e drammaticamente si chiude) il film è una scelta strategica e politica del regista, di certo non estetica, perché questo è un lavoro che incide lo spazio geografico cui appartiene con una precisione che nasce dal dolore di filmare macerie e dolore dove il suo occhio prima vedeva case e vita. Lo scenario è quello del sud del Libano bombardato da Israele più volte in questi anni, con l’obiettivo dichiarato di colpire Hamas, in realtà mirando a villaggi abitati solo da civili, abbattendo case, farmacie, negozi, mercati. È di questa vita che parlano le scene filmate da Abbas Fahdel partendo dal vissuto più immediato della sua esistenza: quella moglie e soprattutto quella figlia di pochissimi anni che tiene accanto a sé, davanti al suo obiettivo, sin dall’inizio, quando filma dalla sua finestra i bombardamenti che squarciano le case all’orizzonte.

 

 

La bimba che osserva con spaventata innocenza quel fragore, il tempo di una quotidianità scandita dalle esplosioni, lo starter di una narrazione che poi si sviluppa per due ore piene tra le macerie. Ponendosi in ascolto di chi alle bombe è sopravvissuto e ora tenta di riorganizzare il proprio tempo partendo da una certezza, ripetuta più volte: ricostruire, perché quella è la loro terra e non c’è altro posto dove andare. Una serie di cartelli, che scandiscono la successione documentaria delle scene e degli incontri, tentano di costruire una narrazione lirica che organizzi un senso nella semplice brutalità degli effetti della guerra messi in campo dal film. Un cavallo al galoppo tra le macerie, un farmacista che ha riaperto bottega in una baracca, un intellettuale che tiene insieme tra le macerie quel che resta della sua biblioteca, un cimitero devastato, negozi di moda con manichini a pezzi, scritte di resistenza sui pochi muri ancora in piedi, gente seduta ai tavolini di un locale con attorno detriti… La narrazione di Tales of the Wounded Land sta tutta già nel suo titolo, eppure è quanto mai necessaria perché corrisponde alla necessità di mostrare ancora una volta e sempre di più gli esiti di una guerra portata da Israele prima di tutto a un popolo, quello palestinese. Poco da aggiungere, all’alternanza alto basso che affianca alla logica drammaticamente fredda del drone, che dall’alto mostra le macerie e i sopravvissuti che affollano il corteo funebre, la flagranza documentaria della macchina da presa che al suolo filma la vita che resiste nonostante tutto.