Strano mondo quello di Linda, 8 anni nel 1997, una vita sospesa da qualche parte della Svizzera italiana, prigioniera del riquadro 4:5 scelto da Valentina e Nicole Bertani per il loro film Le bambine, che ha fatto il suo esordio nel Concorso di Locarno78. Ratio inusuale per il 1997, che certo ancora non aveva idea di cosa fosse Instagram, ma già trafficava con i primi messaggi di testo sui cellulari, in competizione con l’ossessione per il Tamagotchi, da accudire con elettronica dedizione. Seria, anzi seriosa andante, Linda è la nipote di una ricca nonna perbenista con villa di lusso ed è soprattutto la figlia di Eva, una mamma mossa da spirito a dir poco ribelle, senso della libertà e dipendenze varie. Dall’altra parte del film ci sono Azzurra e Marta, figlie di una coppia occlusa tra papà anestesista, un po’ figo e un po’ torvo, e mamma infermiera. indecisa tra la cura dei corpi e quella delle bambole che crea con ambizioni d’artista. Le due bambine galleggiano nella cupa realtà familiare, coltivando fantasie emotive e curatele tamagotchiche sotto l’occhio vigile ma non troppo di Carlino, femmineo babysitter tollerato e stigmatizzato nell’algido quartiere, in cui torreggia una famiglia cattoperbenista non meno stramba di tutto il resto.

L’incontro tra i mondi di Linda, Azzurra e Marta verrà galvanizzato dagli eccessi libertari di Eva, tra discoteche e stranezze varie, e serrato dalla presa normativa di tutti gli altri, spingendo le bambine ai limiti di una infanzia che alla fine starà stretta nelle vite ossessive degli adulti, tanto quanto in quella stupefatta di Eva. Le sorelle Bertani scolpiscono questo coming of age oversize nelle forme di un cinema altamente creativo e volutamente ipertrofico, in cui l’inventiva visiva e l’eccedenza narrativa creano un surplus di senso che non aderisce né alla norma della realtà né all’eccesso della fantasia. La chiave di accesso è di matrice soggettiva, evidentemente forgiata nel luogo di una rievocazione espressiva che gonfia le dimensioni degli elementi, come in una sorta di fellinismo residuale e modernizzato. La stranezza dei caratteri corrisponde alla difformità dei personaggi rispetto alla norma abituale, qualcosa che Valentina Bertani aveva testato con esiti molto particolari nel suo esordio in solitaria, La timidezza delle chiome (di cui qui ritornano i gemelli protagonisti, Benjamin e Joshua Israel). L’eccedenza come sinonimo di eccellenza, la funzione logica della narrazione asservita a una insistente irruenza di azioni, eventi, reazioni e conseguenze, la richiesta perentoria allo spettatore di stare a un gioco espressivo che travalica le misure: in Le bambine c’è tutta la tensione performativa di un cinema italiano che cerca una sua identità astratta per sfuggire alla norma di un realismo magico-storicista che va imponendosi sul versante opposto. In sé e per sé, è un’opera che sa essere affascinante nell’eccesso che persegue e eccessiva nel fascino che ottiene: gioiosa e vagamente triste, ingenua e tendenzialmente didascalica, attrattiva e ovviamente attrazionale… Prendere o lasciare.


