Pescare nella cronaca era uno dei classici tratti di un cinema che in qualche misura, come idea e come tipologia narrativa, appartiene al passato. Dare vita ad una vicenda compiuta e conclusa significa attribuire alla storia un valore e un significato esemplare di un Paese nascosto, celato dentro un provincialismo che in Italia (ma sicuramente anche altrove) si espande a macchia d’olio, macchiando di nero la cronaca che attizza le curiosità e ammicca ad una trasgressione, che quasi sempre ha a che fare con la sfera sessuale, che diventa oggetto di dibattito e morboso desiderio di rivelazione di segreti custoditi dentro le villette unifamiliari o piccoli misteri dei letti dei vicini di casa. Su queste premesse nasce il film di Gelormini presentato a Venezia82 nella sezione sempre vivace e meritoria de Le giornate degli Autori. Da un fatto di cronaca di alcuni anni fa accaduto in un piccolo paese del Canavese, il regista trae questa storia nera, questa specie di commedia che vira nel tragico, in una sapiente commistione anche formalmente non banale, tra ironia su un certo accentuato provincialismo che ci appartiene e una buona dose di crudeltà che accompagna il nostro quieto vivere di italiani brava gente.

La gioia è tutto questo e al centro c’è una straordinaria Valeria Golino (Gioia) che, coraggiosamente, indossa i panni di una bruttina stagionata che si trova suo malgrado al centro di una macchinazione più grande di lei. Irretita dentro le lusinghe di Alessio (Saul Nanni) un giovane bello e disperato, bello e dannato che vive in un ambiente in cui domina la corruzione dei sentimenti rappresentata da Cosimo (Francesco Colella), parrucchiere senza scrupoli amante di Alessio e amico e finanziatore di Carla (Jasmine Trinca) madre di Alessio. Tutto si svolge in una credibile evoluzione tra un malaffare congenito di una zona grigia del nostro Bel Paese e una ruffianeria che è propria di un certo tipo di individui che prolifera in quell’humus ricco di desideri e di rivalsa, che è di nuovo questa variegata e imprevedibile provincia che lambisce, sempre, le nostre (poche) metropoli e che guarda con invidia, a volte malsana, ad un benessere da acquisire velocemente non importa ai danni di chi capiterà. Gelormini è attento, sa spiazzare lo spettatore e il film che comincia come una commedia ambientata dentro l’istituzione scolastica, con le figure di contorno del corpo insegnante ben definite e caratterizzate, poi con paziente gradualità e intensità stringe l’obiettivo su Gioia e sul suo piccolo mondo gozzaniano fatto di casa, chiesa, padre, madre e preghiere mandate a memoria e per consolazione Flaubert per lei insegnante di francese che forse non ha mai avuto un amore in vita sua.

È così che Alessio, arguto mascalzone di provincia, si insinua in quella vita facendo facile breccia in quel cuore semplice di una donna ingenua e sola. La illude e si fa dare i soldi per le sue fantasie imprenditoriali. Ma Gioia si accorgerà e allora la sua esistenza diverrà un inferno. La gioia diventa tragedia, una faccenda sporca nella quale si consuma un tanto facile quanto ripugnante raggiro. Un film agile con i suoi toni variegati e la bravura dei suoi attori e resta anche sorprendente la prova di Jasmine Trinca alle prese con un personaggio viziato e corrotto, una vamp di provincia. Un ruolo così lontano dal suo mondo attoriale che rompe positivamente una consuetudine e offre un’altra sfumatura delle sue capacità d’attrice. Resta quindi un pregio pescare in quella cronaca oscura e morbosa della provincia, in quell’Italia da sottobosco che prolifera laddove non ci si fa mancare, come scrivevano i poeti, qualche delitto senza pretese. Anche qui, in questo quadro malsano e paludoso, in questa parte per il tutto, i caratteri di un Paese che mutava pelle e ambiva ad una ricchezza facile e veloce, senza scrupoli e senza remore. La gioia, nel suo carattere ibrido tra Don Peppone e Scerbanenco, racconta molto di questi anni e dei suoi protagonisti.


