La laguna del titolo non è quella di Venezia, dove il film è stato presentato alle Giornate degli Autori 2025, ma quella di Ventanilla, a Oaxaca in Messico. Un luogo molto amato da Ina Marija Bartaitė, attrice lituana, figlia di Sharunas Bartas che proprio lì, durante un suo viaggio, raccontava di aver trovato quella libertà negatale dalla frenesia del mondo urbano. Ina è poi scomparsa nel 2021, falciata per strada da un veicolo che l’ha investita mentre era in bici diretta verso casa (e peraltro alla guida c’era il figlio di un politico locale, in una beffarda sintesi del caos della “civiltà” da lei stessa lamentato). Per riconnettersi con la sua memoria, Bartas torna ora in quei luoghi, accompagnato stavolta dalla figlia più giovane Una, affinché Laguna diventi momento familiare condiviso e riavvicinamento della giovanissima ragazza a quella sorella con cui non ha nemmeno fatto in tempo a formare una memoria completa. La scelta non è però squisitamente emotiva, Ventailla è infatti un luogo di morte e rinascita, scandita nel film dal ciclo delle tartarughe, che in apertura arrivano a deporre le uova che si schiuderanno nel finale.

È anche un’area sferzata da continui uragani, cui la gente del posto oppone l’inevitabilità del resistere e la forza del vivere: un luogo che è un intervallo temporale, una testimonianza, un monumento alla connessione con la vita, ma anche uno spazio in cui il rapporto con la morte ha una sua ritualità e serenità. Per questo motivo Bartas si colloca al livello del terreno: poche inquadrature del cielo, quasi sempre siamo a terra, seduti o sdraiati fra il terriccio e l’acqua, a strisciare con gli alligatori o a nuotare con le creature d’acqua, immersi in una natura selvaggia, aggressiva ma vitale, che descrive i suoi cicli con brutale sincerità, in un flusso senza fine. A fornire le fonti di luce sono molto spesso le candele che ricordano i defunti o le tinte crepuscolari di un giorno sempre coperto dalle nuvole. In questa atmosfera calda ma consunta, Bartas si confessa, si connette e si confronta con Una, rievoca la figlia scomparsa con partecipazione e commozione umana e compone un film-memoria che è anche un’esperienza sensoriale.

Da sempre attento all’importanza dell’immersività in un cinema fatto più di connessioni emotive e suoni che dialoghi, l’autore lituano fa di Laguna un viaggio stanziale ma dinamico, personale nell’interesse da sempre dimostrato per le comunità attraversate da un cinema attento alle identità locali, ma anche vagamente wendersiano per l’acutezza nel cogliere il momento, il gesto e la performance musicale. Lo scivolamento dai momenti intimi fra il protagonista Sharunas alle prese con Una in un rapporto tenero e complice, e il Bartas autore che riesce a trovare la coerenza del progetto in libertà espressiva, consegna in questo modo al pubblico un film che parte da lontano per arrivare vicino. Un’opera che si isola in un angolo di mondo per stabilire l’importanza di un pezzo di vita strappato via troppo in fretta, un lamento di dolore che però poche volte è apparso così necessario e privo di facile commiserazione.


