Una storia da raccontare ancora: Frankenstein, di Guillermo del Toro

Come nel rapporto fra Pinocchio e Geppetto, anche quello tra Victor Frankenstein e l’austero padre è fondato sulla disobbedienza: il figlio ripudia la violenza di un padre che non lo ha mai accettato davvero e rimpiange l’affetto di una madre che lo ha lasciato troppo presto. Se l’indagine sulla morte è un punto cardine della cultura in cui lo stesso Guillermo del Toro si è formato – lo ribadisce il documentario Sangre del toro di Yves Montmayeur – anche la dialettica con la figura paterna o sua vicaria resta uno snodo fondamentale di tutta la sua poetica cinematografica. È questo aspetto a spingerlo a tornare ancora una volta a Frankenstein (in concorso a Venezia82), che nella sua visione diventa la storia di un figlio rinnegato che diventa un padre imperfetto: un Pinocchio che si fa Geppetto appunto e fallisce su entrambi i versanti. Anche per questo, l’allegria anarcoide che contrassegnava il film animato sul burattino cede naturalmente il passo a un’aura crepuscolare, cupa, intrisa della solitudine degli uomini. Che sono esseri fragili, incastrati tra forze più grandi di loro, come la nave diretta verso il Polo Nord e rimasta bloccata nel ghiaccio, in cui Victor viene accolto nel preludio per raccontare la sua storia.

 

 
La narrazione è un refrain costante di questa ri-messa in scena del mito, che passa da quella del Creatore (il primo atto) a quella della Creatura (il secondo), lungo tutti i libri che formano prima Victor e poi il Mostro quando impara concretamente a parlare. In mezzo c’è il sogno prometeico che si fa illusione forgiata nella disobbedienza: Victor non crede ai limiti imposti da Dio e dalla morale, vuole forgiare la vita per superare il padre e i rapporti irrisolti con le donne, dalla madre alla bramata cognata Elizabeth. Non ascolta gli avvisi di nessuno e, anzi, respinge sempre ogni richiesta o consiglio. Finisce in questo modo per produrre una Creatura che è un suo doppio rovesciato: sfigurata e reietta, ma di cuor gentile quanto lui è affascinante eppure manipolatore. Il Mostro è obbediente e generoso verso il prossimo da cui è naturalmente scacciato, lui è causa delle disgrazie di chi gli sta vicino, in una spirale inesorabile che non potrà che risolversi con un confronto finale fra le due “metà” di questo bizzarro intero.Qui del Toro enuncia anche la sua peculiare dinamica verso i più celebri precursori, che non cita direttamente, un atto di personale disobbedienza per dare al “suo” mostro uno sviluppo articolato: il design parte da una fisicità marcata e degna di un Bernini (che riprende l’idea dei personaggi dalla bianchezza quasi marmorea già transitati nella sua filmografia, dal vampiro pallido di Cronos al Principe Nuada di Blade II) anche se riecheggia le celebri illustrazioni di Bernie Wrightson per l’edizione speciale del romanzo pubblicata dalla Marvel.

 

 
La prima volta lo vediamo rannicchiato in posizione fetale per poi farsi adulto dalla fisicità scultorea e sensuale come l’uomo pesce ne La forma dell’acqua (i mostri per del Toro sono sempre i più belli), inarrestabile e fortissimo ma generato da una palese crocifissione cattolica al rovescio (perché la croce stavolta dona la vita e non la morte). Intorno a lui gravita un mondo gotico-romantico esplorato con sontuosità, secondo una logica che lo stesso autore ha sintetizzato nella formula “tessere gli ambienti e costruire i costumi”, per farne prolungamento tattile delle imprese dei personaggi (e almeno in questo effettivamente si riverbera l’insegnamento del capostipite di James Whale). Su tutto resta un’impressione di ansia da opera definitiva, in cui confluiscono un po’ tutte le direttrici della filmografia dell’autore messicano fino al ricomponimento finale. In questo senso, un racconto marcato da sogni, disillusioni, solitudine e rabbia altro non è che una parabola di un’umanità in cerca di liberazione e di singoli uomini (e creature) che più che odiare agiscono d’istinto, e nei loro errori rivediamo traslato un ideale deltoriano di bellezza. Perché in fondo, anche se sbagliano questi personaggi sono sempre spinti dal desiderio d’amore.