Naomi Kawase è regista che ha fatto dell’atto del filmare la traccia identificativa del proprio stare nel mondo. Da sempre autrice di opere che prendono vita da uno sguardo rarefatto sull’invisibilità dei (propri) sentimenti, Kawase ha portato avanti negli anni questa sua ricerca di cinema/vita, che si definisce in controluce, sfuggendo alla “classicità” del racconto e attingendo direttamente dalla magia delle piccole cose, dall’autobiografia, da un’idea di nascita che si rinnova in sterminate forme. Nei suoi film (dall’inizio degli anni Novanta ad oggi) si raccontano storie di uomini e donne che imparano a vivere e a riconoscere i segni sparsi tutti intorno a loro, fino alla completa appropriazione della realtà oggettiva delle cose, alla maturità e ad una consapevolezza mistica e diafana. Esaltata dalla critica internazionale, ma ignorata dalla distribuzione italiana, trova solo ora spazio nei nostri cinema con il recente Le ricette della signora Toku, per uno strano scherzo del destino il più debole dei suoi film.
Sentarō gestisce un piccolo negozio di dorayaki – focaccine farcite di marmellata di fagioli azuki chiamata “an”. Ha i suoi clienti fissi, soprattutto studentesse, fino a quando, un giorno, Toku, un’anziana signora, si offre come aiutante. Sentarō, sulle prime, rifiuta l’offerta ma cambia immediatamente idea quando Toku gli porta ad assaggiare il suo delizioso ripieno. Grazie alla sua straordinaria capacità e alla sua ricotta segreta, gli affari di Sentaro fioriscono e tutto il quartiere accorre per mangiare le sue frittelle. Presto, però, le cose cambiano, perché Toku nasconde un doloroso segreto. Tratto dal romanzo omonimo di Akikawa Tetsuya, Le ricette della signora Toku è un film atipico per Kawase Naomi, evidentemente un ‘esperimento’ lontano dalle sue corde, almeno per quel che riguarda il processo di trasformazione di un racconto in film. La regista di Nara per la prima volta non trae ispirazione dalla sua esperienza personale o da una sollecitazione interiore, anzi, compie il percorso inverso, cercando il suo sguardo dentro un microcosmo che non le appartiene direttamente. Questione di sfumature, di dettagli leggeri che, però, in un cinema costruito proprio sui dettagli, fa la differenza. Perché il risultato, pur nella delicatezza che contraddistingue il cinema di Kawase, è un senso di lontananza inedito, una strana inadeguatezza nell’aderire alla storia di un’amicizia che nasce in cucina. Fin dall’incipit, con Sentarō che si affaccia sui ciliegi in fiore, si sente lo spostamento dell’attenzione dal ‘dentro’ al ‘fuori’, da ciò che è invisibile, a ciò che invece rappresenta la quotidianità. Come i dorayaki, appunto, che prendono tutto un nuovo significato grazie alle mani di Toku. Sono rigonfie e malate, da sole manifestano lo stato di salute dell’anziana, ma ne testimoniano anche l’attaccamento alla vita, il desiderio creativo che la cucina rappresenta in ogni cultura. Come spesso accade, il cibo si fa veicolo di incontro, alchimia che lega i personaggi e dona un senso nuovo alle cose. E così questa crema dolce di fagioli si trasforma in una ricetta della felicità, che insegna a Sentarō l’amore per le cose, alla giovane cliente regala una famiglia atipica dove sentirsi a suo agio, mentre la brava Toku ha potuto tramandare la sua ricetta della complicità. La cucina, così, emerge come arte del fare, che il cinema può indagare e descrivere con l’incanto di una magia. Kawase filma le mani dei due protagonisti e la loro attesa, gesti uguali e contrari che animano una storia semplice, quasi un racconto edificante, insolito e purtroppo senza vigore, prevedibile e lieve nella trasparenza di tonalità e ritmi tutt’altro che incisivi. Un’operazione che pare a tratti costruita dentro schemi estranei alla regista, tutta giocata sulla superficie delle cose, sugli effetti pratici dei gesti, sull’idea, tutt’altro che nuova, del cibo come strada verso la felicità e scintilla che può cambiare la vita. E poi ci sono i tre protagonisti a rappresentare le tre generazioni e i tre diversi modi di vivere la solitudine, che Kawase ha più volte saputo inserire in un contesto più profondo e complesso.