Alla scoperta dei Confini di umanità di Paolo Pellegrin

Ci sono due modi di comunicare: c’è un tipo di fotografia che si rivela completamente, è un’immagine che parla, dice cose forti e chiare, è molto leggibile, ma è un’indagine finita, è la versione dei fatti del fotografo. L’altra, quella che mi interessa di più, è una fotografia non finita, dove chi guarda ha la possibilità di cominciare un proprio dialogo. È un invito: io ti porto in una direzione, ma il resto del viaggio lo fai tu.
Paolo Pellegrin

 

 

Contrasto pubblica il libro (pag.108, 54 foto in b/n, euro 24, 90) che ha accompagnato la mostra (chiusa il 30 giugno) di Paolo Pellegrin Confini di umanità a cura di Annalisa D’Angelo, in esposizione a Pistoia per l’edizione 2019 del festival Dialoghi sull’uomo, ideato e diretto da Giulia Cogoli. Le immagini riflettono sulla convivenza come metro per osservare la realtà. Il fotografo, infatti, nella sua ormai consolidata carriera si è dedicato al racconto di guerre, dei migranti, della tragedia umana che quest’epoca vive; ma lo ha fatto ponendo sempre l’attenzione sull’uomo, sul dettaglio, su ciò che non siamo abituati a osservare. Le emozioni, le storie, la dimensione più intima dell’individuo sono i protagonisti delle immagini di Pellegrin. Gli uomini, con la loro cultura, il loro passato e il loro futuro – spesso lontano e diverso – convivono sullo stesso pianeta non sempre pacificamente. Questo viaggio tra le fotografie di Pellegrin ci racconta una umanità divisa e spezzata. Il volume si arricchisce dei testi di Giulia Cogoli, Marco Aime e Marco Belpoliti: le loro parole riflettono sul ruolo della fotografia di Pellegrin e provano a raccontare quel bianco e nero struggente che ritrae la quotidianità di un pianeta dolorante e sconfitto dalle guerre. In apertura popolazione in fuga dalla Libia durante gli scontri tra ribelli e forze armate di Gheddafi. Valico di frontiera di Ras Jdir. Tunisia, 2011.© Paolo Pellegrin/Magnum Photos

 

Profughi sbarcano vicino a un villaggio nel nord di Lesbo. © Paolo Pellegrin/Magnum Photos. Lesbo, Grecia, 2015.

 

C’è un verso di René Char in Fogli d’Ipnos che fa pensare alla fotografia contemporanea, e in particolare a quella di Paolo Pellegrin: “Solo gli occhi sono ancora capaci di gettare un grido”. Guardando le immagini che il fotografo romano ha scattato a Lesbo tra i migranti, oppure a Gaza, nei campi profughi del Medio Oriente, negli innumerevoli scenari di guerra intorno a noi, negli slums americani, si è portati a pensare che Pellegrin vuole far gridare i nostri occhi.
Marco Belpoliti