Da Connelly la serie dedicata a Bosch, un veterano della omicidi sulle strade di L.A.

Si chiama Hieronymus Bosch – in omaggio al celebre pittore olandese del XV secolo, ma è più conosciuto con il meno impegnativo soprannome “Harry” – il detective creato da Michael Connelly, protagonista di 19 avventure dal 1992 (La memoria del topo) al 2016 (La strategia di Bosch), oltre a due brevi incursioni nel ciclo incentrato sull’avvocato Mickey Haller (Il quinto testimone del 2011 e Il dio della colpa del 2013). Nato nel 1950, Harry Bosch rimane orfano a 11 anni dopo che la madre, Marjorie Philipps Lowe, una prostituta, viene uccisa. Cresce tra orfanotrofi e case-famiglia fino a quando si arruola nell’esercito e va in Vietnam. Tornato a casa, nel 1972 entra nel Dipartimento di Polizia di Los Angeles e, dopo cinque anni di pattuglia, diventa detective. Un personaggio complesso, con un passato difficile e molti scheletri nell’armadio che nel 2014 ha dato vita a una serie tv prodotta da Amazon e scritta dallo stesso Michael Connelly in collaborazione con Eric Ellis Overmyer (producer anche di Law & Order e di Boardwalk Empire). Ci sono voluti vent’anni per portare sullo schermo un personaggio votato al successo e lo stesso Connelly ha raccontato alla Southern California Public Radio l’odissea per farlo: «Molto tempo fa ho venduto i primi tre libri alla Paramount che voleva farne un film o addirittura una serie di film e ci provò anche a realizzarli. Parecchie sceneggiature furono commissionate e scritte, ma poi il progetto venne accantonato. Intanto io continuavo a scrivere libri su Bosch, così – e questo è l’aspetto positivo – quando sono tornato in possesso dei primi tre, avevo qualcosa come 15 romanzi su di lui. Sì perché alla fine è venuto fuori che la Paramount ha avuto il controllo dei diritti per sedici anni».

 

Mentre in America sta per andare in onda la terza stagione sull’onda di un successo sempre crescente (tanto che Amazon ha confermato la quarta nel 2018), è arrivata su Top Crime (canale 39 del digitale terrestre) la prima, che mette insieme le storie contenute in La bionda di cemento (1994), La città delle ossa (2002) e Il cerchio del lupo (2006). Alcuni cambiamenti sono stati necessari per passare dalla pagina scritta allo schermo come per esempio il fatto che Bosch ha 47 anni ed è un veterano della Prima Guerra del Golfo che ha combattuto nelle Forze Speciali. Dopo l’11 settembre è stato richiamato nell’esercito, come molti altri suoi colleghi, e dopo essere stato in missione in Afghanistan è tornato in Polizia. In una Los Angeles estremamente realistica tanto da essere un personaggio della storia, proprio come nei romanzi, Harry Bosch (interpretato in maniera ineccepibile da Titus Welliver) lavora fianco a fianco con il collega Jerry Edgar (Jamie Hector). Il primo episodio si apre proprio con il flashback di un inseguimento che si trasforma in pedinamento sulla metropolitana di un losco individuo, Roberto Flores, sospettato di aver ucciso delle prostitute. Bosch, lo tallona fino a una stradina isolata dove gli intima di alzare le mani, ma finisce per fare fuoco e l’uomo muore. Due anni dopo Bosch è sotto processo con l’accusa di aver sparato a un uomo disarmato e di aver fatto comparire l’arma sulla scena del crimine. L’indagine del Dipartimento lo ha scagionato, ma in Tribunale deve subire le imboscate dell’avvocato Honey Chandler, decisa a usare tutti i mezzi in suo possesso per dimostrare che Bosch è un pistolero dal grilletto facile. Fino al verdetto Bosch è sospeso da ogni indagine, ma essendo refrattario a seguire gli ordini, si ritrova a indagare su un caso che gli ricorda la sua drammatica adolescenza. A Laurel Canyon vengono ritrovate ossa di un essere umano, e più precisamente di un ragazzino, che ha subito molte sevizie. In un mondo senza speranza – e Bosch non perde occasione per affermare esplicitamente il suo pessimismo cosmico, lui non ha fede e non pensa possa esistere un mondo migliore – c’è, però, spazio per una storia d’amore con la collega Julia Brasher (Annie Wersching). Una serie di grande impatto, anche grazie alle numerose riprese in esterno e agli inseguimenti mozzafiato, con dialoghi ben scritti, battute intelligenti e personaggi che lasciano il segno (anche quelli secondari, come la coppia di detective che in originale sono soprannominati Crate and Barrel – come la catena americana di mobili per la casa – per le loro dimensioni, mentre in italiano vengono chiamati Stanlio e Ollio, a cui effettivamente assomigliano). Bosch è un cane sciolto, dalla parte dei “buoni”, ma con più di un’ombra nel suo passato e nel suo presente e questo lo rende ancora più affascinante. Sembra uscito dall’universo di Michael Mann, a cui peraltro viene reso omaggio in più di un’occasione: dall’inseguimento iniziale sulla metropolitana, all’incontro con il coyote nel bosco, alla casa in cui vive Bosch e che domina LA (e che si è potuto comprare grazie a un curioso cortocircuito tra realtà e finzione: la Paramount ha comprato i diritti di un suo caso per farne un film, The Black Echo, che è il titolo originale del primo romanzo di Connelly in cui compare Bosch). Non sarà casuale che il produttore esecutivo di Bosch sia Pieter Jan Brugge che ha prodotto tre film di Michael Mann, ovvero Heat, Insider e Miami Vice. La classe non è mai acqua.