Folk horror dalla Colombia: in Blu-ray per DigitMovies Luz Il fiore del male, di Juan Diego Escobar Alzate

Al pari dei suoi protagonisti che tentano di rifarsi una vita a contatto con la natura, anche il progetto di Luz: Il fiore del male ha avuto una gestazione al di fuori dei soliti schermi, partendo con il crowdfunding (che ha in parte coperto il budget), mentre la fortuna è poi arrivata dai festival, come Sitges o il nostro Ravenna Nightmare. Nel momento in cui giunge ufficialmente anche in distribuzione ufficiale italiana, grazie alle uscite home video di DigitMovies, il film dell’esordiente Juan Diego Escobar Alzate si giova del solco già tracciato dalla recente vena folk horror di The Witch e Midsommar. Fra i modelli dichiarati si inserisce poi anche il cinema di Alejandro Jodorowski e non è peregrino vedere in filigrana pure qualche influenza dal primo Terrence Malick. Tutto questo per chiarire la complessa varietà di emozioni che assalgono durante la visione di un’opera molto stratificata, sebbene ben riconducibile alle dinamiche del fanatismo religioso all’interno di una comunità rurale. L’epoca non è ben precisata (un registratore a cassette fa pensare agli anni Settanta/Ottanta), mentre il gruppo è sorretto dalla fede violenta di El Senor, che ha perduto la Luz (sua moglie) e cerca di infondere rinnovata speranza nei suoi seguaci attraverso la figura angelicata di un bambino in cui vede la reincarnazione di Gesù Cristo. La storia è raccontata principalmente dal punto di vista di Laila, Uma e Zion, tre ragazze che, nel loro percorso adolescenziale, rappresentano ovviamente il terreno di scontro fra il Bene e il Male su cui si consuma tanto la dottrina del Senor, quanto il rapporto con una terra affascinante e selvaggia, esaltata dai cromatismi spinti della fotografia iperrealista di Nicolás Caballero Arenas, anch’egli al suo esordio.

 

 

Il racconto procede quindi tra momenti che esteriorizzano il rapporto di interazione fra le ragazze e l’ambiente (con un uso un po’ insistito della voce fuoricampo, che ancora una volta fa pensare a Malick), così come le attrazioni delle stesse per gli uomini della comunità, in un contesto basato sulla proibizione del desiderio. Due estremi rappresentati anche da un Senor tormentato, che nella brutalità delle sue azioni riflette la disperazione rispetto a una realtà su cui non riesce ad avere il pieno controllo. Non a caso le preghiere (e spesso anche gli atti) del gruppo sono volte a far rifiorire l’albero sotto cui fu sepolta Luz, con evidente metafora del “ritrovar la luce smarrita”, mentre all’altro capo si pone l’espressione apatica del giovane Jesus che sopporta il suo ruolo di idolo incatenato, quasi indifferente a tutta la sofferenza che pure lo circonda. In tutto questo si rivede naturalmente il rapporto conflittuale tra la storia della Colombia e il cristianesimo, e il suo intreccio con la politica che continua tuttora a influenzare le scelte del paese. La continua oscillazione tra poesia e orrore, con immersioni nella luce cui fanno da contraltare momenti di violenza molto cupa, mira quindi a restituire l’idea di una realtà difficilmente decifrabile, dove ogni elemento può a seconda dei casi essere positivo o negativo.

 

 

Fra l’amore di Dio e gli inganni del Diavolo, insomma, il film non offre un ritratto univoco del fanatismo che pure mette in scena, riconducendo tutto al disperdersi di un’umanità e alla percezione distorta che ogni cosa può avere: la musica che emoziona ma è vista come possibile strumento del Male di fronte all’assoluta perfezione del silenzio, l’amore filiale che però diventa anche strumento di controllo e vessazione, la bellezza della natura che pure appare selvaggia e minacciosa, fino ovviamente al giovane angelicato che nella sua indifferenza può essere il vero veicolo di sventura, o forse il simbolo di una collera che si accanisce contro chi lo tiene ingiustamente incatenato. Un’operazione insomma ambiziosa, ma di sicuro fascino, ben restituita dalle edizioni DigitMovies (collana Otok Video), che propongono il film in versione sottotitolata, all’interno di una confezione al solito curata (con tanto di cover reversibile, con grafica più stilizzata). Per approfondire il doppio percorso del film sono incluse due lunghe featurette di circa un’ora l’una. La prima analizza la lavorazione, mentre la seconda fornisce un resoconto dell’anteprima a Sitges. Entrambe sono girate con una visualità “sporca”, in piena contrapposizione all’eleganza formale del film, in un 4/3 sgranato che pure si oppone al 2:35.1 del film. L’effetto è quello di un backstage ripescato da una vecchia vhs: il che naturalmente ribadisce la voglia di guardare al passato per raccontare il presente, che resta una traccia costante dell’intera operazione.