Il futuro è congelato. Il ghiaccio invade gradualmente ogni angolo del mondo, copre tutto senza eccezioni o distinzione, per ragioni che non sono chiare al lettore. In questo scenario, un uomo cerca ossessivamente una ragazza fragile, quasi un riflesso incarnato del mondo che le sta intorno. Lei, a sua volta, vive una relazione di abusi e violenza con il guardiano, un personaggio brutale e senza scrupoli. La ricerca dell’uomo si rivelerà una giostra di eventi e situazioni surreali, mentre ogni cosa viene stritolata dalla morsa onnipresente del ghiaccio. Come Ursula K. Leguin pochi anni dopo con il suo classico La mano sinistra delle tenebre, con il suo ultimo romanzo intitolato Ghiaccio (prefazione di , traduttore , 451, pag.167, euro 16) scritto nel 1967, un anno prima di morire, Anna Kavan realizza un’opera di narrativa che va oltre lo spirito della propria epoca, che pur coglie e rappresenta con estrema efficacia, si rivela in anticipo sui tempi trattando con grande forza temi che, nel nostro presente, sono diventati veri e propri hot topic. Curiosamente, la tematica che vede allineate le due autrici sullo zeitgeist degli anni in cui sono stati scritti i loro romanzi è l’ambiente. Nel romanzo di Anna Kavan, in particolare, il ghiaccio che ricopre tutto inesorabilmente simboleggia il collasso. Ambientale, sì, ma in generale l’idea di collasso della nostra società, di crollo provocato da noi stessi, con le nostre mani, usando i mezzi che abbiamo inventato. Il mondo narrato in Ghiaccio è quello di un’apocalisse lenta in corso, una fine non improvvisa, con una fiammata, ma come una marcia graduale e inarrestabile verso l’oblio. Fatto altrettanto singolare, Kavan e LeGuin si trovano a scrivere in anticipo sui loro tempi sulla questione del genere, complice il fatto di essere ambedue scrittrici.
Se l’autrice di La mano sinistra delle tenebre esplora il concetto di identità di genere come costrutto culturale da una parte e come fattore che influenza lo sviluppo della cultura dall’altra, Ghiaccio parla di violenza di genere. La donna oggetto dell’ossessiva ricerca del protagonista è una donna vittima di violenza che vive una relazione apertamente dipinta come malsana in un periodo in cui, nel nostro paese, il delitto d’onore e il matrimonio riparatore erano ancora parte stabile della legge (sarebbero stati aboliti solo nel 1981). Per quanto si possa definire fantascienza, ovvero non del tutto, Ghiaccio centra in pieno uno dei trope del genere, ovvero essere narrativa d’anticipazione e interrogarsi sul futuro, visto che la violenza sulle donne rimane un problema a tutt’oggi irrisolto. Che poi lo si usi fantascienza, weird o qualsiasi altra definizione più o meno calzante, Ghiaccio si rivela un romanzo estremamente avanti anche parlando di questioni più strettamente inerenti al testo. Nella scrittura di Anna Kavan, nella sua non linearità che organizza il surreale in una rappresentazione spesso ostica e comunque mai fruibile con troppa semplicità, oltre che nel suo rapporto profondo e viscerale con un’ambientazione che meno che mai è scenografia rivelandosi piuttosto quasi un personaggio attivo nella narrazione, si percepiscono in nuce gli elementi del post esotismo di Antoine Volodine, tanto che a tratti il futuro congelato di Ghiaccio ricorda, nemmeno troppo da lontano, la vegetazione invasiva e onnipresente di Terminus Radioso. In definitiva, l’ultima opera di Anna Kavan è una lettura aspra e poco amichevole, di quelle che costringe il lettore ad alzare l’asticella per restituire in cambio un’esperienza profonda e complessa.