Leggendo il notevolissimo Now here nowhere di Alex Infascelli (HarperCollins, pag. 224, euro 18) mi è tornata alla mente la celebre frase di William H. Gass tratta da Fiction and the Figures of Life:«In narrativa non ci sono descrizioni, soltanto costruzioni». I personaggi di questa autobiografia/romanzo sono stati costruiti secondo delle formule: c’è un desiderio, c’è un conflitto, e da ciò scaturisce un dramma. E quando c’è un dramma si può ricavare il senso di un personaggio. Nonostante il romanzo sia qualcosa di costruito al contempo è anche vivo: la grandezza di Infascelli sta nel farsi sorprendere a metà del guado, tra il realismo tradizionale e le metanarrazioni postmoderne, il tutto condito da un timbro ironico/rassegnato assai convincente. Il giovane Alex, fissato con la musica, lascia Roma. Vuol seguire la fidanzata che, dopo la morte della madre, deve raggiungere a Los Angeles il padre. Ne consegue un’avventura picaresca per le strade di L.A., con incursioni a Las Vegas (per sposarsi con un’altra) e a Seattle per bucare il provino con i Pearl Jam, fra improbabili sistemazioni e lavori, carne martoriata, rigurgiti di umori, frequentazione di sostanze (cocaina, eroina) e sofferenze estatiche assortite. Alex voleva fare il musicista ma era figlio di Roberto Infascelli, produttore di vaglia (La polizia chiede aiuto, Febbre da cavallo, La donna della domenica) e regista (La polizia sta a guardare), quindi aveva il cinema nel destino anche se suo padre è morto, non ancora quarentenne, in un incidente d’auto. Per incontrare il suo destino ha dovuto attraversare l’oceano respingere la proposta dei Blind Melon di diventare il loro batterista, imbastendo una bella amicizia con il talentuoso Shannon Hoon che galoppava verso l’autodistruzione e la trovava nell’ottobre del ’95 sotto forma di overdose. E pensare che bastava stare ad ascoltare una sciamana messicana:«Sì, Alessandro, Alejandro, tu devi raccontare. La tua missione in questa vita è raccontare storie. Arrivederci e grazie».
Infascelli in quegli anni ha giocato col fuoco, e non si è mai bruciato o quasi (nonostante mamma eroina). Era arrivato sulla scena underground in pieno clima orgiastico, con la sua faccia d’angelo e la sua vocazione per la batteria, poi ha costruito un’educazione sentimentale per il proprio sguardo lavorando per la Propaganda Films:« In assoluto la casa di produzione più hip che c’è a Los Angeles, perché i tipi che l’hanno fondata hanno cavalcato l’onda dei videoclip di MTV…». Ha incrociato i Jane’s Addiction, toccato il ciclone Nirvana facendo l’aiuto regista per le riprese di un loro concerto: «Nevermind ha la forza sorprendente e distruttiva di una bomba atomica. Kurt Cobain, senza volerlo, ha appena reso pop l’eroina, e di lì a breve arriverà il fallout». Romanzo di giovinezza, di legami misteriosi, di sprechi di vita, di ricerca del padre, Now here nowhere ci racconta molto sul regista che Alex Infascelli è diventato. A noi del (vecchio) Duel cartaceo il suo sguardo ha spesso convinto a partire da Almost Blue (2000) e oggi nel confronto con il reale (S Is for Stanley – Trent’anni dietro al volante per Stanley Kubrick e Mi chiamo Francesco Totti) ha trovato un punto di equilibrio. Che riporta alla riflessione, intrisa di solitudine e pacificazione, che sta alla base del romanzo: nel suo ossessivo monologare il personaggio che dice io non fa che distruggersi, ma alla fine ricompone la sua identità rinnegata nella scrittura, fonte di stordente verità.