Il superamento della nostalgia: Cobra Kai Stagione 5

Torna su Netflix Cobra Kai, il fortunatissimo spin-off di Karate Kid, giunto ormai alla quinta stagione. Avevamo lasciato i nostri belligeranti karateki californiani uniti nell’affrontare l’alleanza Kreese-Silver al torneo della Valley che vedeva vincitori questi ultimi e i neoamici Larusso-Lawrence costretti a chiudere i loro dojo. Ad accorgersi che Silver è uno che gioca molto sporco, però, non c’è più solo la bulletta Tory, ma anche Kreese, che viene incastrato e spedito in prigione, dove rimarrà per tutta la quinta stagione, mentre il neo villain con il codino attua l’espansione del Cobra Kai arruolando spietati sensei volati fin lì dalla Corea e pronti a impartire agli accoliti lezioni a dir poco truci. A sostegno di Larusso arriva invece Chozen, ex nemico giapponese che Daniel San sconfisse ad Okinawa nel secondo episodio cinematografico della saga. Era pensabile che alla quinta stagione Cobra Kai riservasse ancora soprese? Era pensabile che la sua struttura da soap opera potesse rinnovarsi sfornando un susseguirsi di episodi da vedere avidamente tutti in una notte? Non era poi così prevedibile, e invece…

 

 

La riuscita di questa ennesima stagione risiede nelle dinamiche innescate dalle diverse forze contrapposte: da un lato l’allentarsi definitivo delle tensioni tra le principali coppie di contendenti, Larusso – Lawrence, Samantha – Tory, Miguel – Robby, dall’altro l’emergere di un vero villain, Terry Silver. Non solo Silver mette il cattivissimo Kreese fuori gioco, ma si prende tutto ciò che ha e, con la potenza che solo il denaro nelle mani sbagliate può conferire, si prepara a creare un esercito pronto a trionfare al torneo mondiale di karate e, conseguentemente, a espandersi a livello globale. Un piano alla Palpatine, che pare evocato nelle scelte cromatiche della mega villa di Silver. È vero, siamo di fronte a dell’entertainment a basso costo in un momento storico in cui il citazionismo degli anni Ottanta non sorprende più, ma riesumare Mike Barnes, ovvero Sean Kanan, ovvero l’attore che dopo aver preso parte a Karate Kid III – La sfida finale è assurto al successo come Deacon Sharp nella regina delle soap opera, ovvero Beautiful, rappresenta una quadratura del cerchio che lascia senza fiato.

 

 

Ma non c’è solo Beautiful in questi episodi, c’è anche Rocky IV, citato esplicitamente a più riprese dagli stessi personaggi, e attuativamente nel mettere a confronto i metodi ultratecnologici del neo Cobra Kai contro quelli più poveri ma sinceri del Miyagi-Feng. Come sempre nel caso di questa serie, le riflessioni importanti, che esulano dal puro intrattenimento, rimangono lievi, sottotraccia, ma si colgono: la quinta stagione, pur con i suoi pochi mezzi, pare infatti arrivare là dove il prodotto cinematografico più costoso e sbanca botteghino del 2022 è giunto. Ci si riferisce naturalmente a Top Gun: Maverick e al superamento della nostalgia. Dopo un lungo periodo di rielaborazione dei modelli di un passato prossimo a cui si è guardato con uno struggimento non scevro da preoccupanti derive politiche – genialmente sintetizzato dai “ricordacini” di South Park – giungiamo finalmente all’elaborazione del trauma e alla guarigione. Al non dover vincere per forza, al non dover essere per forza i “numeri uno” ma ad accogliere chi siamo e a stare nel presente. Se la pellicola con Tom Cruise ben cristallizza questa conquista, certo una soap opera contemporanea garanzie non può darne, e (spoiler!) la fuga finale di Kreese lascia intendere l’avvento di una nuova stagione che potrebbe scompaginare le carte in tavola, ma qualora ci fosse un seguito e qualora non soddisfacesse le nostre aspettative, saremo in grado di accettarlo con serenità.