Quando ho letto sulla seconda di copertina che Il turista – prima avventura editoriale di Massimo Carlotto per i tipi di Rizzoli dopo una vita a pubblicare per e/o – «è un serial killer perfetto», mi è venuto un colpo. Hai visto mai che lo scrittore più noir d’Italia diventa come Donato Carrisi, trascinato nel gorgo dei thriller da discount? Però leggo il libro, e scopro che no. Abel Cartagena, nordico (a dispetto del cognome) strangolatore di donne affascinanti alle quali ruba le elegantissime borse, è sì uno psicopatico criminale ma “lost in Venice” finisce per uccidere la signora sbagliata. Si trova così nel bel mezzo di una guerra tra due strutture d’intelligence segrete e parimenti senza scrupoli. Da una parte i cattivi, dall’altra i meno cattivi: buoni ovviamente non ce n’è. O forse sì: uno e mezzo. Pietro Sambo è un ex commissario della omicidi caduto in disgrazia, il detective Nello un tipo tosto e “corto” (troppo basso per entrare nell’Arma) che gestisce, direttamente o meno, i servizi di sicurezza e vigilanza degli alberghi della città. Il turista accetta suo malgrado di giocare in uno dei due campi, Sambo nell’altro. Il finale rimanda a una prossima puntata. Massimo Carlotto si legge sempre con piacere. Noto però una certa tendenza negli ultimi romanzi (La banda degli amanti, Per tutto l’oro del mondo e appunto Il turista) a privilegiare l’intreccio e l’equilibrio della polifonia dei personaggi piuttosto che la complessità formale, nei titoli migliori (Arrivederci amore, ciao, L’oscura immensità della morte, Nessuna cortesia all’uscita ma anche, tra i più recenti, Alla fine di un giorno noioso) piuttosto spiccata. Lo stile di Carlotto è da sempre limpido e lineare. I suoi romanzi sono spesso brevi perché essenziali. A sorprendere rispetto ad altri colleghi italiani, quelli votati alla ricerca di un “argot” per storie noir (il più ardito in questo senso è stato secondo me Giancarlo De Cataldo con Nelle mani giuste, forse non a caso il suo libro di minor successo), è la capacità di entrare in sintonia con l’interiorità del narratore, implicito o esplicito che sia.
Giorgio Pellegrini (Arrivederci amore, ciao, Alla fine di un giorno noioso) è un bastardo; l’Alligatore, star dell’omonima saga, no. La lingua dei rispettivi romanzi descrive il loro mondo interiore, marcio il primo, disincantato e dolente il secondo. Se oggi dovessi illustrare lo stile perfetto per un noir italiano prenderei senz’altro questi due punti di riferimento. Arrivederci amore, ciao da una parte, Nessuna cortesia per gli ospiti, o ancora meglio Il mistero di Mangiabarche, dall’altra. L’espressione di due diverse voci interiori è a dire il vero tentata anche in Il turista, e sempre con queste alternanze (fetore/ferocia del serial killer, disillusione sofferta dello sbirro), ma mai veramente compiuta perché il primo personaggio, nonostante i chiari sistemi per renderlo più originale dei propri simili, è ancora poco interessante; il secondo corrisponde un po’ troppo al cliché del poliziotto stropicciato, fallito, in cerca di riscatto. Questo non significa che Il turista non sia un romanzo godibile. Lo è perché Carlotto riesce a riempire la trama di colpi di scena, e ha questa capacità, molto western, di rendere straordinarie le figure laterali. Voglio dire: Beniamino Rossini, il pard basco-milanese dell’Alligatore, è il miglior personaggio noir italiano dai tempi di Duca Lamberti. Qui, ad avvicinarsi al prototipo, è Nello, codice morale ferreo ma anche prontezza al colpo basso, interprete di una venezianità tutt’altro che scontata (lo scenario, una Venezia inedita e a tratti oscura, non fa da semplice sfondo ma quasi da coro, specie per il proliferare di osti, camerieri, ristoratori, bariste). Insomma, ci si diverte…