La solitudine a fumetti: Ritagli di giornale, di Rocco Casulli

Dopo le Camerette di Frita, che raccontavano storie di vita con colori vividi e amarezza poetica, e i Tutti eroi di Ivan Appio che illustravano la violenza della guerra con uno stile molto evocativo, la terza uscita dell’editore Ottocervo conferma la predilezione per racconti dalla forte dimensione emotiva e abili a muoversi tra differenti livelli tematici. Lo capiamo già dall’incipit in Ritagli di giornale (pag.148, euro 18), del giovanissimo esordiente Rocco Casulli, in cui l’attacco a un nido da parte di un gatto, costringe l’uccellino ad abbandonare il conforto del noto per avventurarsi nel mondo e sintetizza a perfezione la parabola della protagonista Diana. L’anziana signora, scopriamo infatti, ha vissuto per sessant’anni nella comodità rassicurante delle sue mura domestiche, relazionandosi con l’esterno soltanto attraverso la lettura del quotidiano cittadino. Ma un giorno la consegna del giornale salta e la donna è così costretta a uscire per la prima volta di casa, per confrontarsi con quel mondo che aveva volutamente evitato per decenni. Come il treno che aveva fischiato nella celebre novella di Pirandello, insomma, un evento banale nell’incedere sempre uguale delle giornate, scuote alle fondamenta la tranquillità acquisita. Che di per sé può apparire un presupposto ottimo per una fiaba, come viene presentato Ritagli di giornale nelle note presenti in copertina, anche se l’uscita nell’attuale momento storico, porta inevitabilmente in dote altre e più concrete riflessioni. Ad esempio la possibilità di rivedere in Diana una possibile proiezione di tutti noi alle prese con i confinamenti più o meno volontari, indotti ora dalle emergenze, ora dalla semplice voglia di arrendersi di fronte a un mondo che scorre a una differente velocità e che per questo non si vuole e può comprendere più.

 

 

 

Siamo perciò in quell’intervallo dove la reclusione, provocata dalle circostanze o dai traumi, trascolora senza soluzione di continuità nell’accettazione passiva delle cose e la condizione di privazione diventa una silenziosa certezza a cui aggrapparsi. Per questo, sfogliando le pagine del fumetto, Diana diventa naturalmente un possibile nostro “doppio”, proiettato in un futuro che è già il nostro presente, quello delle edicole che chiudono, dei passanti che osservano di sottecchi senza prestare soccorso e dei giornali che sono reperti da affiggere al muro come reliquie artistiche di un tempo superato. Il tempo è in effetti l’autentico protagonista della storia scritta e disegnata da Casulli con la tecnica dell’acquerello digitale e che si muove in un mondo sospeso tra strade strette, chioschi, piccole librerie e i più ampi spazi dei centri commerciali, alla continua ricerca dell’agognato giornale. Un gioco di estremi e di doppi (ancora una volta), che descrivono un mondo antico-moderno, osservato dallo sguardo in soggettiva di Diana. Si passa così dai momenti di panico indotti dalla difficoltà contingente, all’ancor più dolorosa dimensione dei ricordi, che a poco a poco svelano cosa è successo in quella vita. Casulli è bravo a sfruttare la dimensione poetica data dall’uso espressivo del colore e dal design gentilmente spigoloso – quasi da scuola francese, alla Jordi Lafebre – per plasmare un universo interiore al contempo terribile e meraviglioso, che empatizza con i traumi sepolti nella memoria. Li usa per ridisegnare il mondo (il leitmotiv delle strisce pedonali che diventano un mostro) e traccia discretamente un percorso che da Diana conduce a Matteo, l’altro fondamentale personaggio della storia. Ancora due doppi e due estremi si toccano infatti: se l’anziana signora è il personaggio che si è arreso, il giovane che l’aiuta e l’accompagna nella ricerca è invece quello che dal confronto con il mondo di fuori ha sviluppato una certa disillusione, incamerando una sorta di vuoto di vivere, perfettamente speculare a quello dell’improvvisata amica.

 

 

E che soprattutto lo esprime in maniera diversa: tanto siamo trasportati nelle visioni di lei, attraverso scene abbacinanti dai disegni scontornati e quasi “trasparenti”, tanto Matteo è un mistero destinato a essere svelato solo dai piccoli dettagli disseminati in maniera discreta durante il viaggio e che troveranno realizzazione piena nell’atto finale. Tutto questo è espresso attraverso un lavoro molto attento sul ritmo del racconto, che è più frenetico nella prima parte, quando deve esprimere l’immediato disorientamento di Diana attraverso un fitto reticolo di vignette. Nella parte finale, invece, i disegni si ampliano e la griglia è più scomposta, immersa com’è nella dimensione emotiva e poetica, mentre gli stili fino a quel momento più distinti si intrecciano con maggiore libertà. Evitando comunque ogni schematismo, Ritagli di giornale riesce ancora una volta a mettere il lettore allo specchio, a farlo riflettere sul come vedere il mondo, recuperando una dimensione non tanto nostalgica quanto squisitamente umana, pur nel sapore più fiabesco dato dalla dimensione poetica favorita dalla tecnica utilizzata.