Nel futuro non c’è più niente. Solo cenere che oscura il cielo e copre tutto con una patina grigia e uomini dai corpi scannati dalla fame che rovistano come scarafaggi nella spazzatura fra le rovine di una civiltà ridotta in briciole. Fra gli scheletri degli edifici in macerie spunta una scatoletta, forse l’ultima lattina di una bibita, la sagoma della caricatura di un essere umano pronto a tutto pur di vivere un altro giorno. Sulle strade di un futuro scarnificato, un padre cammina verso sud con suo figlio, verso un luogo che è più speranza che reale possibilità di salvezza, più un pretesto che un motivo per andare avanti. Spingendo un carrello della spesa con tutti i propri averi, questa famiglia ridotta all’osso vive una notte all’addiaccio dopo l’altra. La Strada, di Cormac McCarthy, è un classico contemporaneo su cui davvero non sembra esserci più molto da dire. Se n’è già parlato abbastanza, bisogna solo leggerlo perché è tutto lì, ti dice quel che ti deve dire con una compiutezza che sembra non le si possa aggiungere altro. Ed effettivamente il film tratto dal romanzo, diretto da John Hillcoat e interpretato da un Viggo Mortensen impressionante nella sua magrezza da creatura consunta e prossima all’esaurimento, in concreto non aggiunge nulla al lavoro di McCarthy.
Non che sia brutto, anzi, merita anche più di una visione, ma non è essenziale, s’inserisce nel solco tracciato dall’autore di Meridiano di Sangue senza mai realmente arricchirlo o modificarlo. Un buon lavoro, ma che lascia l’asticella alla medesima altezza. Lo stesso non si può dire dell’adattamento a fumetti firmato dalla star della bande desinée Manu Larcenet. Il lavoro dell’autore francese non è dissimile da quello che Stanley Kubrick ha fatto con Arancia Meccanica, di Anthony Burgess: traduce l’opera secondo i codici del proprio linguaggio d’elezione, rispettivamente il fumetto e il cinema, arricchendola con i mezzi a propria disposizione, la narrazione per immagini. Certo, né Kubrick né Larcenet aggiungono alcunché ai libri che adattano dal punto di vista testuale, non dicono niente di più, ma le loro riletture danno ai romanzi d’origine un’incredibile, indimenticabile identità visiva. Arancia Meccanica di Kubrick è un film che resta impresso, molto più del libro, perché ha una potenza visiva impressionante. Non ti scordi i drughi vestiti di bianco, non ti scordi gli occhi spalancati di Alex durante la cura Ludovico, non ti scordi il negozio di dischi o il Korova Milk Bar. Stesso dicasi per La Strada di Manu Larcenet (Coconino Press, pag. 160, euro 28) . Forse non avrà lo stesso successo ma fa, riuscendoci alla grande, lo stesso lavoro.
Perché gli scheletri dei palazzi, delle gru, delle automobili che spuntano dalle nuvole di cenere sono altrettanto indimenticabili, come lo sono i bozzoli di stracci che avvolgono i protagonisti che vagano in una serie di tavole ripetitive all’apparenza ma così ricche di dettagli a una lettura più approfondita. Il grigio costante delle tavole di Larcenet abitua gli occhi del lettore a una penombra perenne e monocorde, solo che a differenza del Batman Anno Uno di Mazzucchelli le nubi sembrano non doversi diradare mai, e la luce del sole a un certo punto non te l’aspetti più. Come Stanley Kubrick, Manu Larcenet prende un classico e gli conferisce una nuova identità visiva, così forte che rischia d’imprimersi nell’inconscio del lettore associandosi, volente o nolente, alla storia che racconta più del romanzo che le ha dato origine. Proprio come Arancia Meccanica.