Pelle d’uomo, graphic novel queer in salsa agrodolce di Hubert e Zanzim

In Italia, durante il Rinascimento Bianca e Giovanni sono le vittime designate di un matrimonio combinato dalle proprie facoltose famiglie. Pochi giorni prima della cerimonia, Bianca riceve in dono dalla zia un artefatto prodigioso: una pelle da indossare come una tuta, che la trasforma in un uomo. Bianca, ansiosa di sperimentare e comprendere chi è l’uomo che dovrà sposare, gira per le taverne di notte nei panni del bel Lorenzo. Durante una delle sue scorribande, incontra Giovanni con cui, senza abbandonare il travestimento, si dà alla pazza gioia in una notte di passione. I due giovani iniziano una relazione amorosa la notte mentre di giorno, dopo il matrimonio, Bianca cerca di essere una brava moglie ma il marito, interessato ai bei ragazzi, arriva al massimo a vederla come un’amica e come una complice. I due, infatti, si ritrovano a far fronte comune contro la bigotteria del fratello di Bianca, un prete che si atteggia a capo popolo e dà più di un grattacapo ai cittadini che si divertono ad amare ognuno a modo suo. Pelle d’uomo (Bao Publishing, pag.168, euro 20) ha vinto il Premio Wolinski, il Premio RT, il Premio Landerneau, il Premio della Critica dell’ACBD diventando il fumetto francese più premiato del 2020. Un fumetto che ricorda, per certi versi, la Trilogia della vita di Pasolini. L’opera di Hubert (grande sceneggiatore morto a 49 anni, poco prima dell’uscita di Pelle d’uomo) e Zanzim recupera infatti parecchio di quella giocosità godereccia che, se al tempo aveva scandalizzato l’Italia per bene conservatrice e borghese con l’erotismo solare di tre pellicole che osavano mostrare nudi frontali, qui viene brandita come un maglio per attaccare senza mezzi termini l’omofobia e in generale tutta una visione del mondo che attacca tutto ciò che devia dall’eterosessualità canonica e socialmente accettata.

 

 

Certo, rispetto a Pasolini c’è della sottigliezza in meno ma sono cambiati anche i tempi e, in un’epoca in cui tutta la comunicazione è fin troppo urlata, Pelle d’uomo riesce comunque a restare su un registro più raffinato nella media nel suo essere diretto e scanzonato. Hubert e Zanzim mettono in scena una commedia in cui la leggerezza si alterna a momenti di amarezza che prendono atto che ci sarà sempre qualcuno incapace di accettare le scelte di vita altrui e ansioso di imporre la propria idea di ordine, considerata l’unica valida. Gli autori prendono posizione senza timore ma ben padroni del potere sovversivo dell’umorismo, sempre capace di mettere alla berlina il potere e di smorzarne l’autorità ridendone di gusto nel tentativo riuscito di toglierlo dal piedistallo e di ricollocarlo in una dimensione meno seriosa e solenne. La lotta contro le autorità è sempre combattuta con l’arma della leggerezza e tutto viene messo in gioco, anche e soprattutto le convenzioni che dovrebbero contenere un rapporto, quello fra Bianca/Lorenzo e Giovanni, entro binari da cui i protagonisti escono sistematicamente in un ribaltamento delle prospettive non fine a sé stesso, ma creatore di un nuovo status quo in cui tutti stanno bene, anzi, molto meglio di come stavano sforzandosi di andare incontro alle aspettative della società. Pelle d’uomo è un’opera politica,  non in quella maniera tirata e incazzosa a cui troppo spesso viene associato il termine, ma nel segno della lucidità e dell’ironia tipica delle opere di autori particolarmente intelligenti, in grado di strappare più di una risata senza perdere la profondità del loro sguardo nell’affrontare la questione di genere.