Gli elementi caratteristici del giallo con venature di noir ci sono tutti. C’è un omicidio, più o meno. C’è chi sta indagando, in polizia e tra i civili. C’è chi scopre un elemento che apre un mondo fino a quel momento sigillato. E qui si arrestano i binari tradizionali su cui il genere si muove. Perché il ritrovamento, un racconto, ne contiene un altro. Che a propria volta ne contiene un altro. Il meccanismo si ripete indefinitamente, fino a che le trame, i personaggi e soprattutto gli elementi che ne definiscono le identità, soprattutto dal punto di vista sessuale, si vanno a confondere in un contenitore dagli infiniti doppi fondi. Dopo l’esordio in Italia con Buio torna Anna Kantoch, una voce particolarmente interessante della letteratura polacca, con il suo Gli Incompiuti (Moscabianca Edizioni, pag. 192, euro 16,90). Tornano gli elementi caratterizzanti del precedente lavoro dell’autrice: un romanzo costruito su un mistero che va in accumulo di complessità, in cui gli elementi che normalmente aiutano il lettore a orientarsi si fanno via via più sfumati nella costruzione di un impianto narrativo che gioca a sottrarre certezze e punti fermi piuttosto che a rendere più solido il terreno sotto i piedi del lettore. La differenza è che, mentre in Buio Kantoch in qualche modo dirige il racconto verso un punto, raccogliendo le briciole di senso lungo un sentiero che da qualche parte, in qualche modo, si snoda, in Gli Incompiuti gioca volutamente a far perdere l’orientamento a chi legge, con un meccanismo complesso di storie che si originano l’una dall’altra così come l’una nell’altra si perdono in un gioco labirintico di scatole cinesi di una narrazione sfuggente, in perenne mutamento che, fedele al titolo, non si compie mai ma, al contrario, gioca a rilanciare di continuo variando a ogni ripresa qualche piccolo dettaglio facendo in modo che il terreno non sia mai troppo ferma sotto i piedi del lettore.
Un gioco complesso, quello di Kantoch, che con questo suo Gli Incompiuti dimostra forse ancor più che in Buio di avere una padronanza della forma romanzo ben più che sufficiente a gestirlo. Ancora una volta lo stile è scorrevole, pieno e generoso, la narrazione scorre liscia portando con sé una grande quantità di materiale in termini di personaggi, vicende e caratterizzazione, per una scrittura ricca in termini espressivi quanto solida in termini di tecnica e controllo dei mezzi espressivi del genere. Gli Incompiuti è l’opera di un’autrice colta, con una conoscenza approfondita di ciò che fa testimoniata dal grande equilibrio fra sperimentazione e accessibilità. Il romanzo di Kantoch è infatti un lavoro di ricerca, certamente, ma la componente più tradizionalmente di genere c’è e si vede, tutte le storie che vanno a comporre la trama del personaggio, infatti, pur non concludendosi godono di un’esecuzione di alto livello che mantiene il ritmo tirato e in grado di vincere la forza centrifuga che la struttura volutamente disorientante del libro rischia di avere soprattutto sul lettore più tradizionale. Gli Incompiuti è un’opera consapevolmente di mezzo, un romanzo sperimentale che non ha paura di essere un romanzo di genere e viceversa, un libro con la finalità di raccontare e di veicolare pensiero utilizzando i codici della letteratura come strumento e non come limite.