The Boys e la maturità della narrativa dei supereroi

Ci sono passaggi, in questo preciso momento storico del fumetto, che sono dati per assodati, momenti scritti in maniera indelebile nel DNA del mezzo espressivo, parte del bagaglio di chi i fumetti li fa e di chi li legge, anche solo a livello inconscio. Si produce e si consuma fumetto così come lo facciamo oggi grazie a momenti che hanno influenzato la disciplina in maniera decisiva, segnando un prima e un poi. Uno di questi momenti è incarnato in Watchmen, di Alan Moore un classico che ha cambiato per sempre la concezione dei supereroi nell’inconscio collettivo dando vita a un’ondata di decostruzione e rilettura del mito da cui non è più possibile prescindere. I supereroi di oggi sono, in maniera più o meno scoperta, derivati dal lavoro di Alan Moore. Da quando, con il primo X-Men di Bryan Singer, il cinecomix ha assunto una dimensione rilevante nell’industria del cinema, i linguaggi cinematografico e televisivo hanno potuto attingere con regolarità al patrimonio di un linguaggio, quello del fumetto supereroistico, già forte di un bagaglio di opere di meta fumetto in cui generazioni di autori, da Moore a Grant Morrison passando per Frank Miller, Chris Claremont, Kurt Busiek e tanti altri, hanno smontato il mezzo, lo hanno analizzato e lo hanno rimontato in una moltitudine di soluzioni diverse.

 

 

Il passaggio da un linguaggio all’altro, pur con alti e bassi, si può dire riuscito: i supereroi nel cinema e in TV funzionano, sono credibili e intrattengono, sono riusciti a passare dal fumetto all’audiovisivo mantenendo gli elementi essenziali e scartando quelli inutili o addirittura dannosi. The Boys, adattamento dell’opera di Garth Ennis e Darick Robertson, lavora sulla parte terminale del percorso di maturazione del fumetto supereroistico, dove la decostruzione diventa satira e rovesciamento puro, raccontando un mondo in cui i supereroi sono un asset di grande valore di una multinazionale che li commercializza in ogni modo possibile, ricavandone soldi e potere politico, con il fine di fare ancora più soldi. La serie TV prende l’imprinting sporco e cattivo del fumetto ripulendo la scrittura di Ennis da tutti quegli eccessi manieristici fini a sé stessi che, a lungo andare, stanno diventando più un limite che un pregio per l’autore irlandese. A Garth Ennis le buone idee non mancano ma si scrive addosso, è autoreferenziale e cazzeggia un po’ troppo con quel suo umorismo volgarotto pieno di quel compiacimento tipico dei bambini piccoli quando imparano a dire cacca piscia e merda per la prima volta. L’umorismo scatologico tutto sangue, sesso e beceraggine di grana grossa di Ennis per un po’ diverte ma alla lunga diventa ripetitivo, specie con una tecnica di scrittura non eccezionale, nella media ma non straordinaria, che tende a mostrare il fianco nel suo non avere granché da dire dopo averti strappato l’ennesima risata. Gli autori della serie TV The Boys fanno un grande lavoro prendendo un fumetto inadattabile dal punto di vista dello stile e potenzialmente ostico proprio perché si colloca in un punto di maturità nella storia dei fumetti di supereroi che rischia di renderlo poco comprensibile a chi li conosce solo grazie al cinema e alla TV, mantengono tutti i punti di forza dell’idea di base con tutta la sua carica dissacrante e la modificano dove serve. Il risultato è una serie divertente, frizzante e sfacciata senza cadere nel greve senza senso. Il ritmo è alto, con pochi momenti di calo, la caratterizzazione dei personaggi è credibile e approfondita e i momenti comici spezzano la tensione strappando più di una risata al momento giusto anche se una maggior connessione fra la vicenda della spalla comica e la vicenda principale non avrebbe guastato.

«Andate in giro vestiti così?»

«Beh, cosa preferiresti, una calzamaglia gialla?»

Questo scambio di battute tra Ciclope e Wolverine, nel primo X-Men di Singer, sintetizza il senso del fare cinema e TV con i supereroi: linguaggi diversi hanno regole diverse, hanno un’estetica diversa e quello che funziona per un linguaggio può non funzionare affatto per l’altro. Questo Erik Kripke gli autori di The Boys lo hanno capito e hanno fatto tutto il lavoro necessario, in questo caso per lo più di pulizia, mantenendo quello che rendeva forte un concept, restituendo allo spettatore una delle migliori sere TV di quest’anno. Aspettiamo la prossima stagione, ne vedremo delle belle.