Un Dard da (ri)scoprire: I bastardi vanno all’inferno

Ottima la scelta della Rizzoli di pubblicare i romanzi di Frédéric Dard che non fanno parte dell’infinita saga di Sanantonio (San Antonio in originale). Dopo Gli scellerati e quel capolavoro de Il montacarichi, è toccato a I bastardi vanno all’inferno (pag.189, euro 14). Un testo all’origine nato per il teatro. Messo in scena al Théâtre du Grand-Guignol di Parigi nel 1954 e diretto da Robert Hossein, questo spettacolo in 2 atti e 7 quadri ha avuto un destino particolare perché è stato oggetto di tre differenti trasposizioni. Nel 1955 l’adattamento cinematografico dell’opera teatrale fu affidato ancora a Robert Hossein e rappresenta anche il suo primo film come regista. Allo stesso tempo, e su consiglio del suo editore, Frédéric Dard ha scritto il romanzo tratto dal dramma che uscì nel 1955 con lo stesso titolo. Nel 1971 Abder Isker ha diretto la versione televisiva di Bastards Go to Hell. Dard non spreca un aggettivo, scarnifica i dialoghi e costruisce una storia secca e implacabile. Un poliziotto sotto copertura viene mandato in prigione per tentare di fare parlare una spia. Per avvicinare il suo obiettivo ed entrare in confidenza viene messo nella stessa cella. Dopo una serie di scontri i due detenuti, di nome Frank e Hal, pianificano una fuga. Anche se ognuno sospetta dell’altro,  finiscono per cementare un bizzarro legame mentre fuggono dalla prigione in cerca di un nascondiglio. La comparsa di Dora, una bionda misteriosa, rovescia le prospettive della vicenda. E alla fine rimane un solo enigma: chi è il poliziotto e chi la spia? (In apertura un’immagine di Les salauds vont en enfer di Robert Hossein).

 

 

Morto nel 2000 (era nato nel ’21 a Bourgoin-Jallieu), Dard ha scritto quasi 300 romanzi (184 di Sanantonio) ai quali si devono aggiungere gli innumerevoli racconti, una quindicina di sceneggiature per televisione e cinema e una ventina di pièce teatrali. Dall’alto di 220 milioni di copie vendute è divenuto un fenomeno mondiale, era abitato da una disciplina ferrea: per decenni ha scritto quattro romanzi all’anno.  Senza sgarrare. In un’intervista a L’Express, Patrice, il figlio maggiore ha ricordato:”per lui c’era solo la scrittura, il resto non esisteva. Era interessato al Tour de France, al pugilato, al tennis, alla F1… Ma mentre guardava la televisione, scriveva, era quasi patologico”.  Viveva come un recluso e amava la rispettabilità e la concretezza dei chioschi delle stazioni dove i suoi libri vincevano la sfida delle vendite. Cocteau che lo ammirava lo ha definito “meraviglioso scrittore della mano sinistra che ha creato un linguaggio”. Frédéric Dard è stato un formidabile inventore di una lingua, un funambolo dello slang, creò più di ventimila neologismi: “la sua terapia quotidiana era nutrita di giochi di parole, neologismi e catacresi” (François Rivière). Il “Rabelais del Ventesimo secolo” lo ha definito la critica e fra i suoi maggiori estimatori c’era lo storico responsabile delle pagine letterarie di Le Monde, Bertrand Poirot-Delpech.