Cocco Bill, Joe Balordo, Pippo Pertica e Palla, la Signora Carlomagno. E non siamo nemmeno all’inizio dell’orda di personaggi creati da Benito Jacovitti, una delle prime superstar del fumetto italiano che già da prima della fine della Seconda guerra mondiale si era fatto conoscere grazie alle sue storie. Un personaggio pubblico amato come pochi nella storia della letteratura disegnata italiana, un punto cardine nella mappa mentale di generazioni di lettori che si sono goduti le loro risate migliori su quelle tavole letteralmente stipate di personaggi demenziali impegnati in così tante azioni esplosive che seguirle era divertente alquanto impegnativo. E i salami, la lisca di pesce, le mani e i piedi mozzi, tanti piccoli marchi di fabbrica che segnavano il territorio, qualora lo stile inconfondibile non fosse sufficiente, di un autore che ha caratterizzato il novecento italiano né più e né meno di Fellini o di Aldo Busi. Quest’anno cade il centenario della sua nascita (Il 9 marzo del 1923 a Termoli) e l’editore Baloon’s Art ha scelto di celebrarlo, il grande Benito Jacovitti, con un libro che ne ripercorre la vita e le gesta: 100 anni con Jacovitti, di Stefano Milioni ed Edgardo Colabelli. Chi scrive è figlio di un appassionato di Jacovitti, uno di quei ragazzi che, finché ha potuto andare a scuola, ha aspettato settembre per comprarsi il Diario Vitt nuovo di pacca.
Personalmente ho scoperto l’autore con un cofanetto che raccoglieva alcuni volumetti editi, se non vado errato, da Mondadori, una raccolta di cui ricordo distintamente le storie in bianco e nero di Pippo, Pertica e Palla. Così come ricordo, anche se qui Jacovitti era già passato fra i più, le note che componevano l’attacco della sigla di Cocco Bill nell’adattamento che ne aveva fatto la Rai. Forse adesso i più giovani non lo conoscono, ma quella di Jacovitti è una storia che attraversa le generazioni, oltre che una storia ricca e avvincente di per sé. La raccontano con grande amore Milioni e Colabelli, scegliendo un incipit coraggioso e contro intuitivo rispetto all’allegria che trabocca dal lavoro di Jacovitti: la sua fuga da un furgone di soldati tedeschi che, durante l’occupazione nazista in Italia, lo avevano prelevato per portarlo chissà dove. Provvidenziale tuttavia fu una buca sul fondo stradale che sbalzò Benito, quello buono, mica quell’altro, fuori dal mezzo.
Pur con un braccio rotto il ragazzo corse incurante dei richiami dei suoi aguzzini e, qui giunge il risvolto allegro e quasi tenero, cercò rifugio presso una chiesa. Inutile dire che il prete lo riconobbe, o per meglio dire intuì che si trattava di QUEL Jacovitti e, anche probabilmente l’avrebbe fatto a prescindere, gli diede provviste e vestiti nuovi per continuare la sua fuga. Questo aneddoto è solo il primo di tanti che racconta il lato umano del disegnatore, quasi un testo a fronte che traduce in parole il lungo percorso composto da una moltitudine di lavori realizzati da Jacovitti nel corso degli anni: copertine e promo del sopracitato diario, tabelloni per giochi da tavolo, riviste e tanto altro. Un doppio binario, quello delle illustrazioni e delle storie, che restituisce al lettore una dimensione completa dell’autore e dell’essere umano, del genio vulcanico e dell’anarchico di centro, come amava definirsi, un uomo libero dalla sensibilità profonda che osteggiò, talvolta in sordina talvolta a muso duro, i regimi totalitari che caratterizzarono il suo tempo. 100 anni con Jacovitti è un atto d’amore puro, che tira le fila di un artista in tutte le sue sfaccettature.