La struttura del racconto del Cammino della speranza è su un ritmo, un arco narrativo, un’impostazione epica, così, che in fondo potrebbe essere benissimo una storia americana, e forse esiste qualcosa di simile…Non era una storia molto avventurosa. Si attaccava di più a un aspetto sociale, dalla disoccupazione all’emigrazione clandestina. Forse un senso non avventuroso, ma semmai epico del viaggio e dell’impresa collettiva, con tutti i valori umani che l’accompagnano e che ne formano il tessuto. Era un film corale, di uomini, ciascuno dei quali visto da vicino, ciascuno con la propria storia, covogliati in un viaggio attraverso l’Italia che li respinge, entro la quale non riescono a vivere, e con una affermazione, con un augurio finale di fratellanza. Si tratta di un film così, di natura epico-sociale, diverso da In nome della legge. Non c’era un quadro vasto della società siciliana, non c’erano né mafia né baroni. C’erano i minatori: e poi c’era il latitante, che è quasi immancabile in Sicilia. Quando giravamo Il cammino della speranza, a Favara, in provincia di Agrigento, c’erano 250 latitanti…
Pietro Germi
A settant’anni dalla presentazione in concorso, nel 1951, Il cammino della speranza di Pietro Germi ritorna al Festival di Cannes, nella sezione Cannes Classics, nella versione restaurata da Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale, grazie alla collaborazione di CristaldiFilm. Tratto dal romanzo Cuori negli abissi di Nino De Maria, il film – interpretato tra gli altri da Raf Vallone, Elena Varzi e Saro Urzì, e sceneggiato da Federico Fellini e Tullio Pinelli da un soggetto condiviso con lo stesso Germi – racconta l’odissea di alcuni minatori siciliani che, dopo la chiusura della loro zolfatara, intraprendono un drammatico viaggio attraverso l’Italia per cercare di emigrare clandestinamente in Francia, affidandosi a un truffatore senza scrupoli che – per citare la sinossi d’epoca – “descrive con parole seducenti tutto quello che si può trovare in terra straniera: lavoro, guadagno facile, vita piacevole”. Contaminando ambientazioni neorealiste, accenti mélo e tentazioni “di genere”, Germi firma un film urticante per l’Italia dell’epoca: Renzo Renzi, sulle pagine de Il progresso d’Italia del 26 ottobre 1950, segnala come la commissione ministeriale incaricata di distribuire i premi ai film italiani avesse escluso Il cammino della speranza, e così ricostruisce la reazione dell’allora Direttore generale per lo spettacolo, Nicola De Pirro: «sembra che uscendo dalla proiezione abbia esclamato con indignazione “Basta con la miseria”». Per Germi è il primo successo internazionale, destinato a vincere, dopo la partecipazione sulla Croisette, l’Orso d’argento alla Berlinale del 1951: il primo dei grandi riconoscimenti che Germi conquisterà nel corso della sua carriera, dall’Oscar per la sceneggiatura di Divorzio all’italiana alla Palma d’oro per Signore e signori.