OCCIDENTALI’S KARMA. Ho dormito tre ore. Sognando cortei di cantanti over-30 con una carriera e una dignità ancora da difendere che marciavano sulla riviera dei fiori sbraitando NOI NON CI SANREMO e calpestando orchidee al ritmo della quasi omonima bestemmia. Perché, parliamoci chiaro, dopo le eliminazioni bomba della quarta serata (Al Bano, D’Alessio, Ferreri, Ron), col cazzo che qualcuno di loro invierà ancora un pezzo alla commissione di selezione (leggi: accetterà l’invito a scatola chiusa di Carlo Conti o chi per lui). E finalmente il campo sarà lasciato libero a qualunque figlio di Maria, a qualsiasi Voice of Italy, a ogni possibile mutante col fattore X e finanche ai laureati di Masterchef. D’altronde, cercate di capire: se devo vendere la trasmissione in Eurovisione, perché la Russia o la Polonia paghino (presumo profumatamente) i diritti, ho bisogno di una quota internazionalpopolare, ché Elodie e Sylvestre o chi per loro non mi garantiscono appetibilità fuor di confine: per questo servono Al Bano, Ron e Gigi D’Alessio (che avrebbero potuto anche essere Toto Cutugno, Pupo e Gigliola Cinquetti: ci siamo capiti). E se ho bisogno di tenere lo share al 50% oltre la mezzanotte al quarto giorno di diretta, necessito anche per forza della suspense dell’eliminazione e dello scorrere del sangue. Gli artisti non sono scemi: probabilmente sanno di andare a farsi usare, e gli va bene così. Ma poi, proprio per questo, una volta che li hai nel cast devi in qualche modo proteggerli. Altrimenti ti comporti male. E quando cadi dal pero perché con 10 milioni di telespettatori in saccoccia all’una del mattino il tuo mostruoso meccanismo di voto li fa saltare dalla finale, menti sapendo di mentire. Scrivo mentre ancora non so chi vincerà, mentre voi invece sì. Ma è il bello della differita. Oggi ne ho approfittato per mettere in ordine la casa. Ho fatto pulizia, buttato i sacchetti vuoti dei puff di mais alle arachidi, le bottiglie e lattine abbandonate un po’ ovunque, lavato i piatti, svuotato il posacenere. Mi sono tagliato i capelli. Sono uscito a fare la spesa. Ho comprato l’acqua e tante altre porcheriole per intasare le arterie. Stasera mi metto in smoking (ma scalzo), e il soggiorno è lindo e attrezzato per godere nelle migliori condizioni da inviato in pantofole quello che per fortuna e purtroppo sarà l’epilogo di questa settimana di trionfo della mia solitudine. [Una lettrice, che chiamerò Armida, mi chiede l’amicizia su Facebook. Accetto. Subito dopo mi manda un messaggio che dice: “Ma davvero sono sei giorni che stai chiuso in casa a vedere quella roba? Ma non ce l’hai una vita?”. Credo voglia trollarmi. Le rispondo: “No.”. Lei replica: “Poveretto. Spero almeno che ti paghino bene.” Resto inebetito un attimo. Poi la blocco. Chissà dove saremmo finiti. Ti chiedo scusa, Armida. Comunque grazie di tutto.] And the radio plays, come cantavano i CCCP. E oggi ovunque ti giri l’unica cosa che senti è OCCIDENTALI’S KARMA. O forse è il mio amico fratello bravissimo attore che me l’ha messa in testa. [Ma intanto l’altra sera si è giocato Lele e ha vinto, poi si è giocato l’eliminazione della Atzei per farmi un dispetto ed è andato in pari. Stasera lo voglio vedere.] Intanto, scevre dalla pappa d’orchestra in cui saranno smarmellate tra poco, mi sono riascoltato bene per l’ultima volta tutte le canzoni in gara nella loro collocazione più naturale: l’etere. E devo dire che quelle passabili restano passabili, mentre le schifezze restano schifezze (davvero belle, quest’anno, non ce n’è neanche una). Però, chissà. Tra poco la magia rimetterà in prospettiva tutto, lo spirito santo calerà su di noi e l’ultima tappa del cammino di Sanremo avrà finalmente inizio. Sono in pace con me stesso. Voglio provare a concedere a tutti una prova d’appello, cercando nel mio piccolo una maggiore profondità di analisi e una minore attitudine allo sberleffo. Silenzio. Comincia.
LA GARA
Elodie – Tutta colpa mia. Il titolo farà riferimento alla sua love story terminata tra i rimorsi col vincitore delle nuove proposte, Lele? E’ assai probabile. Emma Marrone, songwriter smaliziata e olimpica, era l’unica che potesse raccogliere le confidenze dell’interprete per congegnare una reiterazione/tormento della più classica delle parole sanremesi (“amore”) declinandola in un costrutto melodico autoreferenziale nell’intonazione del ritornello (in cui la mimesi di Elodie con Emma si fa aderenza) ma in qualche misura debitore della miglior canzone d’autore al femminile (Ornella Vanoni?) nella legatura del ponte. Enorme. Voto: 10
Michele Zarrillo – Mani nelle mani. Ha il brano più subdolo. Quello che inizialmente emerge meno. Ma Zarrillo è un passista. Un elefante dalle ali di farfalla che quando inizia a volare ti lascia a bocca aperta. L’ascolto reiterato svela armonici, dischiude frasi, innesca melodie multiple. E per un uomo che ha ritrovato l’amore dopo aver fissato negli occhi la morte, quel ritornello (Tu sei / passione e tormento / tu sei / aurora e tramonto) non testimonia solo dell’ideale romantico del sentimento totalizzante, ma anche la consapevolezza quasi esoterica che nell’alba esiste già il seme della sera e che l’inizio di una cosa non è che lo specchio della sua fine. Zarrillo è l’immensità. Voto: 10
Sergio Sylvestre – Con te. Il mondo avrà una grande anima, diceva lo sfortunato Ron. E questo ragazzo ne ha una addirittura grandissima. Un’anima soul in un grande corpo soul. Minacciosa dolcezza, rabbioso sentimentalismo. Una performance ossimorica. C’è uno spazio vuoto dentro / è casa mia, suadente rimando a uno piano smisurato e superno, non solo fisico. Nella serata delle cover ha cantato Vorrei la pelle nera. Ma non era ironia. Perché lui è un angelo. E gli angeli non hanno colore né sesso. E quando cantano, cantano con te. Voto: 10
Fiorella Mannoia – Che sia benedetta. Difficilissimo, d’acchito, accettare e comprendere la scelta della solitamente militante Fiorella di misurarsi con un brano così profondamente spirituale e accollarsi la responsabilità di veicolarne lo struggente, universale, semplice messaggio (Per quanto assurda e complessa ci sembri / la vita è perfetta). Ma sono parole che risuonano nella giustezza: la vita è perfetta, siamo noi che a volte la sporchiamo e la neghiamo (uccidendola, malpensandola, abortendola), siamo noi gli artefici del nostro destino e dobbiamo rispettare il dono che (non) un (solo) Dio ci ha assegnato. E poco importa che nelle prime strofe Fiorella debba piegare nello stento la sua naturale tonalità da mezzosoprano per poi esplodere come sa fare lei in questo epocale Inno alla Gioia in sedicesimo: ogni conversione, si sa, passa attraverso una penitenza. Voto: 10
Fabrizio Moro – Portami via. La canzone è dedicata alla figlia. E quelli che potevano sembrare facili appigli di costruzione per una classica sviolinata d’amore diventano i cardini di un rovesciamento prospettico sulla perpetuazione della propria vita nell’eredità straordinaria di una persona nuova. L’andamento omaggia un grande capolavoro della musica italiana come La Cura, trasformando l’omaggio in una rilettura non innocente ma ai confini della filologia. Voto: 10
Alessio Bernabei – Nel mezzo di un applauso. Su un tappeto danzereccio, l’ex Dear Jack trova un nuovo equilibrio per la sua personale visione del pop postadolescenziale. Ed ecco che le parole Stanotte ho aperto uno spiraglio nel tuo intimo / Non ho bussato però sono entrato piano assumono i connotati birichini della pratica d’amore impacciata a cui ognuno di noi almeno una volta ha ripensato con tenerezza. Mentre Se vuoi incontrarmi / cercami nell’imprevisto diventa epitome di un brano di memorabile evanescenza. Nell’universo che ti applaude ci siamo tutti noi. Voto: 10
Marco Masini – Spostato di un secondo. In un attimo tutto può cambiare. Se solo potessimo dominare il tempo adesso ti vedrei / scegliere di restare / e invece te ne vai / e io ti lascio andare. Anche Marco Masini si sposta, di lato, impercettibilmente rispetto al suo standard abituale. Può sembrare già sentito, la sua modulazione del ritornello può apparire manierata. Ma si percepisce, al fondo, un rinnovamento nella continuità, nascosto con malizia da grande affabulatore. Voto: 10
Paola Turci – Fatti bella per te. Il suo aspetto grintoso è guscio, corazza, esoscheletro di difesa. La vita l’ha letteralmente massacrata. E la sua storia sembra la prova immediata, l’ideale controcampo psichico del messaggio del brano di Fiorella Mannoia. Bisognerebbe davvero tenersela stretta, la Turci. Porta un brano che è rock nelle intenzioni e non nei suoni, dal titolo-slogan: autobiografia, autodeterminazione e autodafé. Quante donne cercano di farsi belle e si sfigurano? Invece lei è bella così. Perché ognuno di noi dovrebbe amarsi lo stesso. Voto: 10
Bianca Atzei – Ora esisti solo tu. L’amore è salvezza, l’amore rischiara il cielo e da quando stiamo insieme non esiste più una nuvola. L’andamento del pezzo è scaltramente rétro, come un Malgioglio d’annata, la melodia vola sulle ali dell’emozione e lei padroneggia il brano con grintosa svenevolezza. In più, è bellissima. Voto: 10
Francesco Gabbani – Occidentali’s Karma. In un festival carico di segni/macigno, un’invocazione alla leggerezza che nasconde una disamina grottesca dello stato confusionale del singolo nel caos global. Un essere post-umano sperduto tra le tentazioni ascetiche del misticismo orientale (dove Battiato torna come memento solo mentale e testuale) e le complicazioni prosaiche del neonarcisismo digitale. Comunque vada, sarà un successo, diceva Piero Chiambretti in un festival del Secolo Breve. Ma lui dice Comunque vada panta rei. Il ponte comunicazionale tra Eraclito e il NeoVolgare è stato gettato: ora sta a noi percorrerlo, aggirandone le contraddizioni, adagiandoci in esse o ballandoci su. E cantando sotto la pioggia, alla faccia di Damien Chazelle. Un genio comprensibile, fiero di essere tale. Voto: 10
Chiara – Nessun posto è casa mia. Lo sradicamento come conditio sine qua non per ripartire. Melodie e intonazioni che avvicinano Chiara ad Arisa, come un omaggio anticipato a una delle indiscutibili nuove signore della canzone italiana. L’aplomb acquisito da grande interprete la fa sembrare quasi ferma, sospesa in un sogno d’amore che rende sempre tutto perfetto, in un prolungato sussurro di quello che poeti come Battisti e Panella avrebbero chiamato “un dolce tedio a sdraio”. Voto: 10
Clementino – Ragazzi fuori. Con grande coraggio e la giusta percentuale di calcolo, Clemente rinuncia al dialetto, scioglie le armonie e costruisce un brano cantato e poi rappato capace di ammiccare sia ai gusti dei suoi compagni dal basso sia a quelli più sofisticati di un pubblico che ormai merita di apprezzare la sua arte al di là delle ghettizzazioni di genere. La tematica dell’emarginazione emerge prepotente nella rappresentazione di una realtà che troppo spesso un palco come quello di Sanremo tende a lasciare fuori scena. Non è un semplice cantante: è un indicatore sociale. Voto: 10
Ermal Meta – Vietato morire. Il tema è terribile (la violenza tra le mura di casa, sulle donne, sui figli, sull’uomo), l’autobiografia in qualche modo sottintesa. Le sue origini albanesi aprono uno squarcio doloroso sul presente contemporaneo di un’Italia che non è più nemmeno Lamerica. Le parole, semplici e dirette, si fanno poesia sulle note scroscianti di una post-ballata con il tiro giusto per funzionare musicalmente come semplice “canzonetta” trasportando nel suo specifico testuale tutto il portato retorico. Meta/pop. Voto: 10
Lodovica Comello – Il mondo non mi basta. Come una quintessenza dello spirito leggero degli anni Dieci dominati dai nuovi media di cui è un’eroina assoluta, sceglie di cimentarsi nella trasfigurazione live action di una principessa da cartoon, in linea con la recente intuizione di trasferire in corpi reali i miti Disney. Il pezzo non poteva ovviamente che essere una complicata rendition metatestuale di questa istanza. Come una canzone candidata per la miglior colonna sonora in una zona teorica dove lo sfondo reale si fa tessitura disegnata e il personaggio animato transustanzia in carne. Voto: 10
Samuel – Vedrai. Che cos’è la speranza? La speranza è quella cosa piumata / che si posa sull’anima / canta melodie senza parole / e non smette mai. Non è il testo di Samuel: è una poesia di Emily Dickinson. A Samuel si attribuirà invece da oggi la paternità di Se siamo ancora qui / Vuol dire che un motivo c’è, goccia di quel fatalismo indispensabile per spiegare gli avvenimenti privi di senso o dei quali non comprendiamo il perché, come diceva Tolstoj. Meraviglia che a sostenere una tale concettosità si erga una melodia arrangiata secondo i dettami dei padri gesuiti filosofi Guy-Manuel de Homem-Christo e Thomas Bangalter: ma neanche tanto. Silenzio, anzi Silence. Voto: 10
Michele Bravi – Il diario degli errori. Ha solo ventidue anni, e solo recentemente pare sia venuto finalmente a patti con una sessualità ancora incerta. Ma le sue parole dicono di tutta la malinconia del crescere troppo in fretta, e di come si possa rischiare oggi, nella terribile velocità del mondo, di mettere a repentaglio un’intera esistenza all’ombra di uno scoramento suicida. Ma ci è mancato poco / che rischiassi anche la vita. Qui rischia però di dare il via a una carriera che potrà essere il viatico per la felicità. Il brano è impalpabilmente roccioso, la sua voce calcolatamente fragile. Voto: 10
IL RESTO
Aprono i Ladri di Carrozzelle, gruppo musicale completamente composto da disabili. Propongono un pezzo che è un anthem dell’anima: Stravedo per la vita. Titolo non privo di una terribile autoironia, perché il cantante è non vedente. Si va idealmente al ricordo delle altezze di un Andrea Bocelli o un Aleandro Baldi, che fisiologicamente qui non possono essere raggiunte. Anche loro, in qualche modo, sono collegati in fil rouge alla grande lezione della Mannoia. Carlo Conti, per non turbare la platea, mentre ne elogia il concetto (un meraviglioso esempio di vita; nonché del potere salvifico dell’arte, oserei dire), omette di ricordare che solo pochi giorni fa uno di loro, che aveva lasciato il gruppo quattro anni fa, si è suicidato per depressione. Voto: 10
Carlo Conti presenta la Giuria di Qualità: sorride, perché forse venerdì sera sono stati birichini. Chissa cosa mai combineranno stasera. Voto agli Hateful Eight: 10
Non potevano mancare gli eroi del quotidiano, questa sera rappresentati dal corpo dei Carabinieri. Uno di loro, in un afflato poetico, dice che nel loro mestiere c’è anche il volo. E per un attimo pensi che sulla ribalta sanremese potrebbero intonare Grande amore. Ma forse sarebbe stata troppa emozione per uno show ancora solo alle battute iniziali. Voto: 10
Arriva Zucchero “Sugar” Fornaciari, che malgrado il nomignolo non è mai stato un protetto di Caterina Caselli e anche lui ha vissuto sulla pelle lo smacco dell’arrivare ultimo a Sanremo. Ma da che esiste il Creato, si sa che gli ultimi saranno i primi. E lui è stato il più primo di tutti, anche se da quando è diventato una star in gara non ci è più tornato a differenza di sua figlia Irene. Canta un brano dal titolo bellissimo e genialmente antifrastico, Ci si arrende. Voto: 10
Un imminente sceneggiato di Raiuno narrerà una storia ambientata dietro le quinte della mitica trasmissione Studio Uno. Le protagoniste femminili lo promuovono con delicatezza, sotto lo sguardo ammirato di Carlo Conti. Voto: 10, alla promozione e allo sceneggiato, sulla fiducia.
Con un geniale e inatteso coup de théâtre, Maurizio Crozza stasera è sul palco dell’Ariston in carne e ossa, salutato dalle consuete ovazioni a tempo. Fa un suo cavallo di battaglia, il senatore Razzi, e durante un a parte con Carlo, gli tira bonariamente le orecchie per aver sbagliato una battuta e avergli fatto perdere un effetto. Ma anche in questo sta tutto il fascino della diretta. La delocalizzazione perfetta della sua presenza su schermo si tinge di perfettibilità. Human, after all. Voto: 10
Lo “spettacolo nello spettacolo” costantemente promesso da Carlo Conti nelle serate precedenti finalmente arriva. È un video sponsorizzato da TIM in cui Mina gorgheggia, e un gruppo di ballerini balla. La semplicità non può essere banale. Da ripensare. Voto: 10
Torna Zucchero, con il suo pezzo più pungentemente e rapidamente politico: Partigiano Reggiano. E a smentire il conservatorismo del pubblico sanremese, tutta la sala balla. È un gesto violentemente comunista con cui l’audience comunica il suo ideale di resistenza, esattamente come farà seguendo l’onda danzante di Gabbani. Poi Zucchero duetta live con lo scomparso Pavarotti su Miserere, alzando il tasso liturgico della serata e completando un cortocircuito: assume le sembianze di un vivo morente per fondersi nella voce sintetica di un morto vivente. Apoteosi. Voto: 10
Entra in scena la modella Tina Kunakey, attuale fidanzata di Vincent Cassel, che pareggia in black (è di antiche origini siciliane) l’agnizione di venerdì della moglie di Eros Ramazzotti. Conti vuole sfatare i luoghi comuni, dimostrando che a volte anche dietro a una grande donna c’è un grande uomo. E che per uno come lui, il colore della pelle non conta nulla. Voto: 10
Viene assegnato un premio alla carriera a Rita Pavone, da 55 anni sulle scene. Lei è un monumento, miniato, della canzone internazionale. E con la meravigliosa spontaneità tipica delle scalette sanremesi, la esorta a esibirsi nel suo classico Cuore. Standing ovation, e non solo per vederla meglio. Voto: 10
Un maestro della commedia, Enrico Montesano, monologa da par suo con l’impareggiabile modestia che in non pochi gli riconoscono rievocando la sua infanzia nella Roma che fu, dove già in illo tempore tutti cantavano Sanremo. Ed è impagabile per come riesce a incastrare con geniale gratuità una parodia di Massimo D’Alema in un contesto che non la richiedeva. E’ un micro hellzapoppin’, che vale ogni singolo euro di un cachet che immaginiamo non commisurato al risultato. Voto: 10
La simpaticissima Geppy Cucciari parodizza C’è posta per te sottoponendo la De Filippi al suo stesso trattamento con la complicità di Carlo. Poi, in uno slancio femminista, piega un monologo comico a un attacco a Feltri per il suo ormai celeberrimo titolo sulla patata bollente di Virginia Raggi ed estende l’invettiva a ogni maschio che malpensa. A volte il sorriso può bloccarsi per trasformarsi in ghigno, a volte può bloccarsi e basta. Geniale. Ficcante. Voto: 10
La superstar Alvaro Soler fa ancora una volta ballare il pubblico: con un medley dei suoi grandi successi. Non stupisca la volontà di non presentare un brano nuovo: si esibisce nel momento delicato in cui le masse sono impegnate nel televoto ai tre finalisti, da poco annunciati (Ermal Meta, Fiorella Mannoia, Francesco Gabbani), e non avrebbe alcun senso gravare sulla loro concentrazione con una proposta, magari sofisticata, che potrebbe distoglierle dall’esercizio del loro diritto a pagamento. Un gesto d’amore. Voto: 10
Un momento importantissimo. Carlo Conti rivela con sincerità di aver scartato a malincuore una canzone particolare, intitolata Pace, e la fa eseguire rigorosamente fuori concorso da Amara [anche autrice del brano della Mannoia, il conduttore giustamente non ne fa menzione durante il voto, lasciando eventuale liceità agli spettatori che ne googlano il nome -poco noto- di scoprirlo da sé e altrettanto eventualmente orientare di conseguenza una preferenza ancora indecisa] e dal troppo presto dimenticato Paolo Vallesi, suo amico fraterno. Il testo inneggia con astuta tautologia, e concetti così semplici da arrivare dritti al cuore, alla ricerca della pace. Che bisogna tenersi stretta a ogni costo esattamente come la vita di Che sia benedetta. E capiamo così che il talento di questa giovane artista è quello di farsi carico quasi cristologicamente e certo in maniera del tutto disinteressata di propugnare quei valori assoluti che il dilagante ed eretico disimpegno di tanti colleghi lontani da una retta via sovente dimentica. Quasi come in una messa cantata di mezzanotte, si respira ora compiutamente il vero senso ecumenico del cerimoniale musicale. E poco importa se le voci risultano a volte fuori tempo (per l’emozione), a volte calanti (per il pathos), a volte addirittura cocciutamente stonate (quasi a voler sottolineare la vuota superbia della ricerca di perfezione): l’impalpabile tessitura musicale fa sì che delle caratteristiche impermanenti della musica non resti che un suggerimento, e che l’aria sia innanzitutto permeata dall’idea del brano più che dal brano in sé. Lasciando con la sensazione netta che il direttore artistico abbia preferito non mettere il brano in gara perché spaventato dalla possibilità che potesse finire frainteso e umiliato dalla superficialità con cui a volte si emettono giudizi erronei con conseguenze che nessun rimorso a posteriori basterà mai a riabilitare. Voto: 10 e lode
Il ministro della difesa Pinotti. Ed è subito patria. Voto: 10
Si esibisce Emanuele Fasano, 20 anni. Come in un racconto struggente di C’è posta per te, Maria ne racconta la storia di pianista diventato un caso per le centinaia di migliaia di visualizzazioni di una sua performance alla stazione centrale di Milano ripresa casualmente da un fortunato regista e subito postata su Facebook (ma forse era YouTube). Il ragazzo, fortunato, ha oggi in mano un contratto con Caterina Caselli Sugar e a breve uscirà il suo primo disco. Dice che la vita (un leitmotiv, ormai) è apparecchiata da Dio. E la sua bravura è già quella di un Giovanni Allevi, di cui cita anche le rimodulazioni finali. [Incuriosito, voglio saperne di più e in rete scopro che è il figlio del grande Franco Fasano, cantante con qualche festival alle spalle e molte canzoni di successo scritte per altri (come Ti lascerò di Anna Oxa e Fausto Leali, trionfatrice dell’edizione 1989). Ammirevole la discrezione con cui per evitare ogni sospetto di nepotismo la notizia è stata celata alla platea televisiva e demandata a un corretto utilizzo di Google sulla scia emotiva suscitata dalle singolari modalità di affermazione sul web del giovane artista.] Voto: 10
L’atmosfera è ormai così carica di segni che il nuovo ospite d’onore, lo chef Carlo Cracco (uno che invece apparecchia da dio, direbbe il giovane Fasano), interrogato sulla sua canzone di Sanremo del cuore, confonde l’interprete di Noi, ragazzi di oggi, Luis Miguel, con Miguel Bosé. Peccato veniale, causato dall’onda emotiva che lo travolge, mentre ripensa ai suoi vent’anni nel 1985 e a questo brano sempiterno che per i ragazzi dell’epoca era “la canzone per eccellenza”. Forse perché lui era già instradato al suo mestiere di preparatore spavaldo di succulente carni rosse mentre i suoi smunti coetanei emo ante litteram perdevano la testa con schifezze come gli Smiths di Meat is Murder, celebre album vegano coevo. Voto: 10
La tensione emotiva insostenibile viene a questo punto stemperata da Ubaldo Pantani, che al Dopofestival ha stupito per la sua perfetta imitazione di Roberto D’Agostino e che stasera si cimenta nel più rischioso e difficile Giletti, con risultati che l’inarrivabilità del suo cavallo di battaglia delle sere precedenti rischiano di oscurare. Ma è un bel modo per ricordare L’Arena domenicale senza incomodare la verve del vero titolare e il migliore viatico all’assegnazione dei premi e alla premiazione dei vincitori. Voto: 10
Vengono assegnati i premi, che in larga parte mostrano una feconda convergenza sui tre artisti finalisti: Miglior testo: Che sia benedetta di Fiorella Mannoia. Scelta obbligata. Voto: 10. Miglior arrangiamento orchestrale: Di rose e di spine, di Al Bano. Scelta nel segno della classicità e della spiritualità pucciniana, che potrebbe suonare come premio di consolazione al vecchio leone della canzone solo a chi fosse palesemente in malafede. Voto: 10. Premio della critica: Vietato morire di Ermal Meta. La profezia mattutina di Gino Castaldo di Repubblica si avvera. Voto: 10. Premio della sala stampa: Che sia benedetta di Fiorella Mannoia. Perfetta chiusura di un cerchio iniziato sin dai primi entusiastici articoli dopo le prove all’Ariston, a riprova della professionalità ferrea dei molti inviati. Voto: 10. Premio TIM: Occidentali’s Karma di Francesco Gabbani. Una scelta in linea con la politica culturale dell’azienda, desiderosa di dimostrare che anche una grande canzone può diventare una splendida suoneria per smartphone o il leitmotiv di un possibile spot. Voto: 10
Il tempo di un Rocco Tanica (voto: 10) che dalla sala stampa prima rende omaggio allo sconfitto Al Bano con una esilarante zumba midtempo sulle note del suo brano inelegantemente trombato e poi omaggia il video diventato virale dello sportivo Gigi D’Alessio:
https://www.facebook.com/gigidalessioofficial/videos/10155427503475730/
con un esilarante “Sapete chi ci è rimasto male? STO CANTANDO PER VOI!”. E arrivano i vincitori.
TERZO CLASSIFICATO: ERMAL META
SECONDA CLASSIFICATA: FIORELLA MANNOIA
PRIMO CLASSIFICATO: FRANCESCO GABBANI
[L’onorevole secondo posto di Fiorella Mannoia sembra una doccia fredda, ma in realtà è solo la dimostrazione di come nel DNA del vero italiano coabitino valori e disimpegno, introspezione ed estroversione, serio e (apparentemente) faceto. Ma anche della fallacità di certe previsioni dei bookmaker, che con dispiacere domani faranno ricche molte meno persone di quanto pensassero. Il trionfo di Gabbani, con il suo brano genialmente sinestetico, è anche il segnale di una necessità di detensione di un popolo vessato e vilipeso dai Potenti ma che anche nei momenti più difficili riesce a far fronte alle avversità con un sorriso sulle labbra e una volontà incrollabile di fantasticare e ballare sulle ali del ritmo e dell’armonia. Degno suggello di un’edizione a conti fatti memorabile e simbolica, popolare e raffinata, uguale ma diversa. Perché nella La La Land di Sanremo tutto è vero e tutto è falso, e tutto si può pensare e dire (o scrivere), anche il suo contrario. Perché bisogna saper perdere e non sempre si può vincere, perché la musica è finita e gli amici se ne vanno e perché la giustizia, da noi, alla fine trionfa sempre. Perché questa notte nessuno, nemmeno Ron, metterà mano a una pistola come cinquant’anni fa (forse) fece Tenco per mettere il mondo di fronte alla sua grettezza e iniquità. Perché è vietato morire. Perché ognuno avrà imparato a tenersela stretta questa vita perfetta, in questo effimero sogno che finirà allo sfumare del lungo riverbero della Musica e namasté a tutti, almeno fino al prossimo festival. Perché Sanremo è Sanremo.]
Sono felice. Ed è felice anche il mio amico fratello attore bravissimo che si è giocato la casa di Roma sul vincitore, dato 6 a 1. Spengo la tv. Ripongo lo smoking nell’armadio. Tolgo le pantofole. E finalmente dormo. Pace. Parappappappaparà parappappappaparà parappappappa parara para. Pa-ra-ra.
[dedicato a Nicola Nocella]