Il 24 maggio se ne è andato improvvisamente, a 60 anni, Gennaro Cannavacciuolo, attore, cantante, regista raffinato ed eclettico che ha calcato le scene per quarant’anni e che nell’ultimo periodo ha fatto rivivere sul palcoscenico la grande stagione del varietà e dell’operetta rendendo omaggio con i suoi spettacoli a Domenico Modugno (Volare – oh oh concerto a Domenico Modugno, 2010-2022 e Cyrano. Il musical), Yves Montand (Yves Montand – Un italiano a Parigi, 2015-2022), Milly (Il mio nome è Milly. Storia di una diva), solo per citare qualche titolo. Aveva da poco debuttato con un nuovo spettacolo, un recital con quartetto, dal titolo Milva. Donna di teatro. Nel dicembre 2016 lo avevamo incontrato in occasione di Gran Varietà. Rimane il ricordo di un uomo molto colto e molto gentile, di cui si sentirà la mancanza. Per rendergli omaggio riproponiamo quell’intervista (dal titolo “Gennaro Cannavacciuolo: lo charme di Gran Varietà”).
Sabato 28 maggio, alle 14, nella chiesa di San Bellarmino a Roma l’ultimo saluto al grande artista.
Gennaro Cannavacciuolo si è formato alla Scuola di Eduardo de Filippo lavorando successivamente a fianco di Pupella Maggio. Oltre a essere un grande interprete della tradizione di prosa è anche un raffinato cantante e un fantasista che affronta il comico, il tragico, il cabaret, la rivista nel segno di un eclettismo non comune. Da quindici anni porta in scena Gran Varietà (fino al 31 dicembre al Teatro Sala Fontana di Milano), uno spettacolo che rende omaggio all’avanspettacolo, alla rivista e al caffè-concerto da fine 800 a metà 900. Un recital arguto e irriverente che offre allo spettatore l’occasione di viaggiare nel tempo e ritrovarsi catapultato nell’atmosfera di allora guidato da un grande trasformista. Lo abbiamo incontrato.
Da dove nasce l’idea di Gran Varietà?
Dalla mia passione per il varietà. Io nasco come attore di prosa però, piano piano, ho affinato la passione che ho sempre avuto per il caffè concerto, il varietà, l’avanspettacolo. Avendo avuto due maestri come Eduardo De Filippo e Pupella Maggio – che nascono in questo tipo di teatro perché Eduardo inizia con il varietà e la rivista, così come tutta la famiglia di Pupella basti pensare che i suoi genitori cantavano nei café chantant di Parigi – tramite loro e un po’ io naturalmente, ho sviluppato una vera e propria passione poi corredata dalle dovute ricerche su questo genere di teatro. Nel 1995, ho incontrato Paolo Limiti che all’epoca faceva una bella trasmissione un po’ retro su Rai2 dal titolo Ci vediamo in Tv. Ero nel cast fisso e Paolo ha ritenuto opportuno farmi cantare, con molta eleganza, queste canzoni “erotico-umoristiche”.
E qui ci colleghiamo al sottotitolo di Gran Varietà che dice: “Recital in due tempi sul peccato erotico-umoristico nella canzone d’epoca”.
Lo spettacolo verte all’80% sulle canzoni a doppio senso, le canzoni “pornografiche” dell’epoca perché non essendoci tutto quello di cui disponiamo oggi – come Internet e quant’altro – gli unici posti dove si poteva peccare o quantomeno si poteva vedere o intravedere qualcosa, erano i caffè concerto, soprattutto quelli dove veniva eseguito un repertorio un po’ forte, pruriginoso per così dire. Negli anni ho raccolto alcune di queste canzoni e poi ho deciso di fare lo spettacolo.
Le canzoni che proponi coprono un arco di tempo che va dal 1880 al 1940…
In quegli anni sono state scritte miliardi di canzoni. Ho scelto quelle che per me erano le più divertenti e significative, tralasciando quelle più volgari e mi sono ritagliato un piccolo spazio nello spettacolo dedicato alla canzone melodica napoletana, quella classica che ha fatto storia. E così è nato Gran Varietà.
Dopo 15 anni è uno spettacolo che fai sempre con piacere?
Tutti i miei spettacoli vanno avanti per molti anni, 15-20, anche 25 (quello su Modugno va avanti addirittura dal 1987). Finché ne ho la forza… Per quanto riguarda Gran Varietà non solo mi diverte, ma mi fa piacere farlo per i giovani appassionati di teatro che scoprono da quale fonte o da quale scuola siano nati artisti come Totò, Petrolini, Anna Magnani… Arrivano tutti dal varietà e mi spingerei fino a nomi più recenti come Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Raimondo Vianello. Loro, in effetti, nascono dalla rivista che viene un po’ dopo perché prima nasce il caffé concerto che si trasforma in varietà che a sua volta diventa rivista, da qui si passa all’avanspettacolo e infine alla commedia musicale e al musical. Questa è l’evoluzione quindi, a seconda delle epoche, sono nate le stelle che ho citato. Mi fa piacere che i giovani scoprano che alcuni grandi artisti hanno radici in questo genere di spettacolo, che veniva considerato leggero, ma ti assicuro che leggero non è perché è una fatica immane. Il cosiddetto teatro leggero non esiste perché, dalla tragedia al musical, il teatro è sempre fatica.
Soprattutto quando, come nel tuo caso, sei solo in scena...
Con me ci sono tre musicisti dal vivo (Marco Bucci al pianoforte, Enrico Peluso al violoncello e Andrea Tardioli al clarinetto e sax contralto) che mi seguono nelle mie follie perché comunque questo spettacolo è una piccola follia, in tutti i sensi, non ci sono dubbi. Anche i cambi di costume avvengono in scena perché mi faceva piacere che il pubblico vedesse non solo la fatica, ma anche come un artista riesca a cambiarsi da un numero all’altro.
Il pubblico è direttamente chiamato in causa.
Questo spettacolo è principalmente fatto con il pubblico. All’inizio le persone sono un po’ ritrose, poi alla fine lo fanno con me. Coinvolgo tutto il pubblico come era l’usanza di quel tempo. Trattare un argomento come il doppio senso è davvero un’arma a doppio taglio, pericolosa perché molto facilmente si può cadere nella volgarità o nel trash e nel cattivo gusto. Ma questo, e non lo dico per presunzione, con me non succede mai, rimaniamo sempre sul filo dello charme, dell’eleganza, dello stile parigino, non c’è mai nemmeno un accenno a una parolaccia. E il pubblico dimostra di apprezzarlo e si diverte da morire.
È comunque anche uno spettacolo colto che permette di conoscere un pezzo di storia del teatro.
All’interno c’è proprio la storia della creazione macchiettistica, perché si usa il termine “macchietta”, chi l’ha inventato, qual era la scuola del Nord, quella del Sud, com’era Parigi in quell’epoca, chi erano le danzatrici di cancan… Sapere che la gente esce da teatro con qualche nozione in più mi fa piacere.
Hai rappresentato Gran Varietà in molti posti. Funziona a tutte le latitudini?
In Italia l’ho fatto dappertutto e anche all’estero, da Ankara a Budapest, Tirana, nelle principali capitali europee. Il pubblico straniero risponde e si lascia coinvolgere perché è uno spettacolo dotato anche di tanta gestualità e tanta mimica.