Da ieri fino al 30 gennaio 2021 si può visitare (ingresso libero, previa prenotazione) la mostra Zhang Hang. The Body as Language presso la Galleria Giampaolo Abbondio, in via Porro Lambertenghi 6, nel quartiere Isola a Milano. Curata da Flavio Arensi, la rassegna, che rimarrà aperta anche durante il ponte di Sant’Ambrogio, ripercorre gli anni di formazione di Zhang Huan tra la Cina e New York attraverso una serie di opere fotografiche che documentano le sue performance più famose, da quelle degli anni novanta fino a My Rome, che chiudeva di fatto la sua stagione performativa, per lasciare spazio alla progettazione di installazioni su grande scala. Giocate sul confine tra Oriente e Occidente, le performance di Zhang Huan esplorano il corpo come incontro e scontro di diverse culture. Il titolo della rassegna è un omaggio a Lea Vergine, la prima studiosa italiana che riconobbe alla body art la giusta considerazione storica e critica. Prendendo inspirazione dall’immaginario popolare cinese e da elementi delle filosofie orientali a lui vicine, l’artista reinterpreta queste mitologie e indaga il potere dei rituali nella formazione e demistificazione dell’identità. (In apertura un’immagine tratta da To Raise the Water Level in a Fishpond – 1997).
Ne sono un esempio le fotografie – che si trovano in esposizione – della serie Family Tree che documenta la performance in cui Zhang Huan aveva chiesto a tre calligrafi di scrivere sul suo volto in ideogrammi cinesi, miti e divinazioni della tradizione popolare cinese, dalle prime luci dell’alba fino a sera. Nel corso della giornata l’iscrizione di questi racconti aveva tramutato il viso dell’artista fino a renderlo irriconoscibile: al calare della notte, il volto di Huan, diventato completamente nero, simboleggiava l’impossibilità di definire un’identità precisa.
Il percorso prosegue con To Raise the Water Level in a Fishpond, in cui l’artista insieme a una quarantina di persone si immergeva nell’acqua di uno stagno tentando di alzarne il livello dell’acqua, per trascendere il significato di un detto cinese, secondo il quale un singolo individuo non poteva influenzare l’ambiente circostante, dimostrando come una comunità riunita per una causa comune possa fare la differenza, quindi con 3006m3: 65Kg realizzata nel 1997 al Watari Museum di Tokyo, dove ‘3006 m3’ indicava il volume totale del museo giapponese e ‘65 kg’, il peso dell’artista. Legato alla struttura da centinaia di tubi usati per le trasfusioni di sangue, Zhang Huan cercava di abbattere il museo, uno dei simboli della civiltà moderna, ricevendo in cambio di essere sbattuto indietro verso le mura dello stesso museo, dalla tensione elastica dei tubi. La mostra si chiude idealmente con My Rome, dove il corpo diventa tramite tra la cultura tradizionale cinese e l’occidente, rappresentando il suo incontro con le statue della Roma antica conservate nei Musei Capitolini. In questa performance, Zhang Huan si relaziona con il Marforio, l’enorme scultura marmorea di epoca romana, risalente al I secolo d.C., raffigurante una divinità fluviale, utilizzata come immagine promozionale de La grande bellezza di Paolo Sorrentino.