«Il talento non ti abbandona mai, in un certo senso ti tiene compagnia»
Pamela di Greta Rovere e Maddalena Tirella
È qui la festa? Lui entra e si getta a corpo morto su una poltrona nera, spettatore/spettro, vestito un po’ da giullare, un po’ da clown. Lei gli si rivolge (e insieme parla da sola e a noi, stipati nel buio dello Spazio DiLà, 50 posti, una minisala dell’Off-off-Broadway milanese in zona Corvetto dove scoprire, in incubazione, il talento di oggi e il teatro di domani), giocando a tratti da dietro un separé, un poco déshabillée, reginetta del monolocale, con fare seduttivo – vedo non vedo – istrionica baldanza, sospetta sicumera, che non tarda a cedere però, sotto il trucco.
La giovane donna in carriera (e in guêpière) è attraversata da una fissa per i colori, impegnata a rivitalizzare, un po’ 9 settimane e mezzo e quasi casalinga disperata, questo interno/ménage spento che, travestito di compleanno, somiglia molto a una solitudine esorcizzata (c’è nell’aria claustrofobica qualcosa del Re per una notte di scorsesiana memoria). Pamela conosce il Pantone di ogni cosa (è lei stessa un colore viola, scopriremo). In quello che appare vezzo professionale, poi sempre più nevrosi ossessiva, sa il numero di ogni colore e con i colori etichetta ogni oggetto e ogni persona, nell’illusione forse di dominare un’esistenza e governare il suo incerto stare al mondo. Illustratrice pubblicitaria, folgorata da Quentin Blake («Quel grande coccodrillo verde ufficio, con la bocca così grande e il corpo così piccolo, che voleva mangiarsi tutti i bambini del mondo. Li ho capito che avrei fatto strada nella vita»), racconta e non ascolta, si mette in mostra come meccanismo di difesa, pare impegnata a dispensare consigli che disattende un gesto dopo, a guardare le pagliuzze per non affrontare le travi. Afferma con prosopopea la sua originalità («Per me la quotidianità non ha fascino»), contraddicendosi una frase più tardi («Tutte le sere prima della mia sessione di meditazione leggo libri sulla crescita personale»), ostenta una forza assoluta («Non sono mai stata una ragazzina fragile») eppure nell’approccio formulaico al mondo non sembra possedere gli strumenti adeguati per lenire davvero le sue ferite («Sono sempre più convinta che il modo migliore per affrontare un dolore è il fitness»). Il tema del corpo (attraverso il cibo: Pamela fa torte e torto a se stessa) è un modo per parlare dell’anima e dei suoi mancati o sbagliati nutrimenti, che passa per folgorazioni dalla comicità disvelante («Per mangiare Bio bisogna avere un buon lavoro e una grande forza di volontà»; e ancora: «Mangiare troppi carboidrati ti annebbia il cervello e ti spinge a compiere errori imperdonabili»). Il mondo della comunicazione e del lavoro metropolitano, attraverso questo svelamento artefatto, è preso in giro e messo a nudo nella sua inconsistenza alienante.
La scrittura di Greta Rovere e Maddalena Tirella (24 e 22 anni rispettivamente, Greta è già autrice di La guerra del latte: da tenere sott’occhio la Compagnia 30 Ampère che, formatasi al Centro Teatro Attivo, è animata da entusiasmo e felice spirito creativo: giovani drammaturgie crescono, bene) è un flusso di coscienza e luoghi comuni difensivi che mescola autobiografia e spirito di osservazione, ironia e autoanalisi, senza troppo spiegare (grande pregio, che il coraggio di un finale per molti aspetti aperto conferma), ma facendo parlare con forza la condizione e le contraddizioni della sua protagonista. Elisa Bruschi (che di anni ne ha 21), fra sicurezza ostentata, incespicature e incrinature in cui è difficile distinguere l’emozione acerba dalla maschera che indossa sul palco, traduce sulla scena un testo denso e leggero insieme, arricchendolo di sottotesto, come una navigata stand-up comedian che va oltre lo specchio delle proprie fragilità. Così gli stilemi apparentemente frivoli del cabaret («Che poi perché le infermiere hanno le scarpe da panetterie?») gradualmente e in maniera inattesa vanno al nocciolo della questione, parlandoci, in una pièce giovane, originale, che scorre tutta di un fiato, della diversità e della frustrazione che ci alberga, di una difficoltà di vivere dissimulata e proprio per questo confessata, in quaranta minuti intimi, esilaranti e toccanti («Non sono come gli altri bambini. Non lo sono mai stata e non sono mai riuscita a diventarlo»).
Visto allo Spazio DiLà il 31 marzo.
Ancora in replica domenica 2 aprile ore 20.