Una discesa agli inferi. Questo viene raccontato in Slot Machine, il nuovo spettacolo diretto da Marco Martinelli (che lo ha scritto e ideato con Ermanna Montanari) in scena al TeatroLaCucina di Milano, nell’ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini. Una caduta vertiginosa di un giocatore come tanti, Doriano, figlio di contadini che si sono spaccati la schiena per fare fortuna, che letteralmente annega nel gioco d’azzardo senza riuscire a riemergere. Un pantano in cui rimane invischiato, dapprima iniziato come una sorta di viaggio nell’antico Egitto alla ricerca di serpenti e Cleopatre della “Pharaoh’s Tomb”, una slot machine presto abbandonata, perché ritenuta di cattivo auspicio con la sua aura di maledizione aleggiante, a favore di giochi più caserecci: la rassicurante spiaggia di “Romagna mia“ e le donnine di “Pin Up”. Un gioco che ha delle regole ben precise: «Nei giorni pari Romagna mia / Nei giorni dispari Pin Up», quasi un mantra a cui aggrapparsi per cercare di dare una parvenza di razionalità a qualcosa che è totalmente fuori controllo.
È lucida l’analisi di Doriano, pronto a votarsi al culto della macchinetta che lo trasformerà. Un uomo che è consapevole della sua schizofrenia («Il sale in zucca ce l’ho, io / Il problema è l’Altro / Quello là dentro, là in basso / quello che c’ha sempre fame») e di vivere in una realtà deformata (da qui l’uso degli specchi in scena che riflettono le varie anime del giocatore e lo deformano, creatura sempre più preda dei suoi demoni). A poco a poco fa il vuoto attorno a sé, sacrificando ogni legame affettivo: dapprima inganna i genitori, poi rinuncia alle fidanzate e agli amici e si affida a finanziarie e strozzini perché la sua dipendenza – resa fisicamente dagli spasmi dello straordinario Alessandro Argnani, sempre più ossessionato e consumato a mano a mano che il monologo procede – , non gli permette di fare altrimenti. Consapevole di essere vittima e carnefice di se stesso non può che subirne le estreme conseguenze. Les jeux sont faits. Rien ne va plus. E il sudario sul suo corpo non può che essere un tappeto verde.
Un tema, quello del gioco d’azzardo, che da sempre affascina la letteratura (dall’autoritratto di Dostoevskij ne Il giocatore alla doppia vita della protagonista di Fuori tiro di Emmanuel Carrère, passando per Maupassant, Dickens, Schnitzler, Bukowski,…) e il cinema (da Lubitsch a Melville, da Altman a Scorsese la filmografia è sterminata), ma che sta diventando una patologia sociale: prima dell’estate il Ministero della Salute ha creato l’Osservatorio per il contrasto della diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave perché oltre due milioni di italiani sono a rischio. Ma il giro d’affari legato alle slot machines è enorme e, come si dice nello spettacolo, «In fondo in fondo / I giochi sono tasse!».
Le foto sono di Davide Baldrati
Milano
TeatroLaCucina (via Ippocrate 45)
fino all’8 novembre
A corredo dello spettacolo “La città gioca d’azzardo”
una serie di incontri a cura di Marco Dotti
www.olinda.org
Tournée
Bologna Teatro delle Moline dal 17 al 19 novembre
Foligno Spazio Zut 27 novembre
Rimini Teatro degli Atti 30 gennaio 2016
Ravenna Vulkano 5-14 febbraio
Firenze Teatro Cantiere Florida 17 marzo
Lugano Lac 5 aprile
Asti Teatro Giraudi 12 aprile
www.teatrodellealbe.com