«Sarà come entrare nel mondo delle giostre, pagarsi un viaggio dentro un mondo di specchietti, di luci colorate, entrare dietro le quinte di una fucina teatrale dove si muovono attori, tecnici cercando di costruire sorprese e senza saperlo passeggiarci dentro e diventarne protagonisti». Così dichiara Daniele Finzi Pasca, attore, coreografo, regista (anche di opere liriche) svizzero – fondatore insieme con Antonio Vergamini, Hugo Gargiulo, Maria Bonzanigo e la compianta Julie Hamelin Finzi, prematuramente scomparsa nel 2016, della compagnia Finzi Pasca – presentando la sua ultima creazione, Luna Park che apre la stagione 2020-21 del LAC di Lugano dove è in scena dall’8 al 20 settembre. Uno spettacolo-installazione della durata di 20 minuti in cui si susseguono, a distanza di dieci minuti, gruppi di 25 spettatori, condotti sul palcoscenico attraverso un percorso stabilito e nelle regole del distanziamento sociale. E così parte il giro di giostra… Si viene ammessi dal retro, dal luogo normalmente adibito al carico-scarico dei materiali di scena. Qui, con la guida di un membro della compagnia, si entra nel primo spazio dove è possibile vedere i bauli usati dalla Compagnia per portare in giro per il mondo i vari spettacoli. Si passa poi nella “sala dei costumi” con vestiti e oggetti di scena disposti tutt’intorno. Dopo aver avuto un assaggio del dietro le quinte di uno spettacolo teatrale si continua in un percorso segnato da luci al neon che come stalattiti colorate ci introducono a un mondo magico, quello del Luna Park vero e proprio. Sembra di percorrere il sentiero dorato di Dorothy nel Mago di Oz per essere ammessi sul palcoscenico, dove sotto una pioggia di luccichini, una famiglia (madre, padre e figlia) si trova su un’automobile per intraprendere l’atteso viaggio per le vacanze: «Questa volta potremmo comprare le cartoline il primo giorno… e magari anche i francobolli. Mandiamo cartoline a tutti come l’anno passato? È così difficile scrivere in cinque parole qualcosa di originale…», dice la madre. È lei l’unica a parlare in questa sorta di flusso di coscienza che le fa rievocare il passato: «Preferisco ad ogni modo di più partire che restare. Mio papà ci salutava sempre con un fazzoletto bianco. È bello dirsi addio, però poi viene un magone da morire… E mio papà ci diceva addio anche quando si andava solo a fare la spesa… La tristezza non si addice all’estate».
I suoi pensieri vagano in mille direzioni e la portano a pensare alle eventualità più assurde: «Attraversasse una strada un rinoceronte… dove andremmo a finire?», per poi tornare prosaicamente con i piedi per terra: «Se hai sete ho messo del caffè nel termos, due tramezzini e della frutta», ma l’infelicità è sempre in agguato «Mi fa male l’anima come mi fanno male le scarpe nuove». Lo stordimento di parole, suoni, colori, visioni che sperimenta lo spettatore (munito di testo, altrimenti non immediatamente fruibile) è lo stesso della donna che allude all’incapacità di vedere veramente: «gli occhi non li si hanno mai aperti… anche quando sono spalancati». Nel gorgo di parole in cui ci conduce, come in Up, le emozioni hanno dei colori: «La mia felicità è quasi sempre azzurra… dico azzurro, ma penso rosso. Meglio dire un azzurro che ha il sapore di rosso». Ma è l’inizio di un delirio, la donna scopre di essere abitata: «Io mi sono resa conto abbastanza presto che non ero da sola ad abitare in questo corpo». Un invito a vivere la vita come viene, senza fare progetti perché «fare programmi è uno sbaglio […] Chi fa programmi non lo sa che nella vita non ci si sposta infilati nelle nostre proprie gambe. Siamo in equilibrio su di una tartaruga… che cammina sulla schiena di un serpente… che striscia su di una sfera, in equilibrio sul naso di una foca… E la foca? La foca sta per essere assalita da una tigre, che la cura nascosta sottovento» (siamo pur sempre in un luna park/circo dove gli animali sono i benvenuti, come testimonia anche il cavallo, e i cavalloni marini che magicamente compaiono sulla platea).
Un viaggio in auto che è in realtà un viaggio nella vita di ognuno e che inevitabilmente si conclude con un’immagine sulla caducità e provvisorietà umane: «Entrambi amiamo i cimiteri… Mamma mia, quanti ne abbiamo visitati… […] le nuvole e le vecchie tombe ce lo ripetono in continuazione che fare programmi non ha tanto senso: ci vuole una dose di fiducia cieca per credere che tutto resterà come lo abbiamo lasciato». Solo la finzione del teatro può permettere di abbassare la guardia: «Se ti trovi sulla scena di un teatro, il legno di questo posto è fatto di molecole diverse dal resto del creato. Qui non importa quello che vivi e quello che senti per davvero… davvero non esiste… Basta una lampadina e diventiamo giganti o insetti o spariamo in un bicchiere». Luna Park è fruibile a svariati livelli (sono ammessi spettatori dai tre anni in su): come Alice entriamo nel Paese delle meraviglie, e come lei passando Attraverso lo specchio ci soffermiamo sulla malinconia di un mondo che è cambiato (inevitabile il riferimento all’attuale situazione legata alla pandemia), tenendo sempre presente l’importanza del teatro e la sua capacità di creare nuovi mondi.
Foto di Viviana Cangialosi