Volker Schlöndorff, retrospettiva di un regista versatile al 39° Bergamo Film Meeting

Tutt’altro che secondario fu l’apprendistato del giovane Volker Schlöndorff quando, dopo avere frequentato per alcuni anni la Cinémathèque française a Parigi dove aveva scelto di vivere dopo gli studi universitari, divenne assistente di Resnais, Malle e Jean-Pierre Melville. Da questo apprendistato vennero fuori i suoi primi film, a cominciare dall’esordio I turbamenti del giovane Törless tratto da Musil. Schlöndorff già con questo suo primo film sembrava dovesse segnare la propria strada con lo sguardo ad una cultura europea, anzi, in verità, mitteleuropea, proprio quella tradizione letteraria che lo avrebbe affascinato anche in futuro con la riduzione di classici della letteratura tedesca e francese. Un cinema il suo che evidentemente lavorava su un registro più classicamente austero e che, per queste ragioni, lo avrebbe distanziato da quell’onda di novità cinematografica che fu il cinema tedesco degli anni ’70. Di certo il suo cinema sembrava contraddire i temi di Wenders e di Fassbinder, e anche il cinema rivoluzionario di Alexander Kluge, in qualche modo ispiratore di quella corrente di autori che avrebbe cambiato lo sguardo non solo di chi il cinema lo faceva, ma soprattutto di chi il cinema lo fruiva e lo amava. Il suo rapporto con quella stagione fu partecipativo, ma al tempo stesso distante, coltivando Schlöndorff un’altra prospettiva per un cinema più legato a quella tradizione che rispondeva ad una stretta connessione tra discipline, restituendo visivamente una immaginazione che restava confinata alla lettura di testi divenuti classici. In questa direzione il suo esordio nel 1966 è avvenuto proprio con il film già citato, programmatico di una filmografia alla quale, in ordine sparso, si sarebbero aggiunti il successivo La spietata legge del ribelle del 1969 tratto da Von Kliest, Il caso Katharina Blum del 1975 tratto da Böll, Colpo di grazia del 1976 da Yourcenar, Il tamburo di latta del 1979 da Grass, Un amore di Swann del 1983 da Proust, Morte di un commesso viaggiatore del 1985 da Miller, poi ancora Tutti colpevoli del 1987 tratto da Gaines, Il racconto dell’ancella da Atwood e per finire Palmetto – un torbido inganno del 1998 da Chase. Una filmografia che testimonia la sua attenzione per la cultura centroeuropea con una particolare attenzione ad una tradizione anche cinematografica tedesca interpretata attraverso quella intensa rilettura dell’epoca post-bellica all’interno di una rielaborazione di colpe storiche. (In apertura un’immagine di Morte di un commesso viaggiatore).

 

Il colpo di grazia (1976)

 

D’altra parte, su un versante più relazionato ai suoi tempi Schlöndorff è un regista attento alla cronaca e centrò la sua attenzione ai fatti del terrorismo degli anni ’70 e ’80 e verso le crisi internazionali sfociate in sanguinosi conflitti. Tutto ciò testimonia sicuramente, al di là della riuscita dei singoli film che hanno segnato questo suo profilo di regista, una sincera versatilità a partecipare al presente, a rendersi parte di uno sguardo anche differente sulle questioni della cronaca. Da questa propensione diremmo civile nascono film come Germania in autunno del 1971, un film collettivo al quale partecipa anche Schlöndorff, e il più recente Il silenzio dopo lo sparo del 2000, due film che, con prospettive differenti, guardavano agli anni di piombo in Germania o film come L’inganno del 1981, che ha come scenario la guerra in Libano. Forse il suo lavoro complessivo non è stato mai un punto di riferimento per i giovani autori, avendo Schlöndorff lavorato quasi sempre su testi altrui, mettendo in gioco più che altro le sue doti registiche più che propriamente autoriali. Il suo cinema, confezionato secondo i criteri di una classicità non particolarmente ricercata, in talune occasioni ha peccato di un eccessivo didascalismo, ma va apprezzata la sua tensione ideale che non lo ha mai allontanato da un cinema che comunque riusciva a conservare una sua intrinseca qualità. È in quest’ottica che ci si appresta a (ri)guardare i  suoi film nella retrospettiva che il 39esimo Bergamo Film Meeting gli ha riservato. Un’occasione preziosa per recuperare parte della sua filmografia con una particolare attenzione alle sue prime prove registiche frutto di quella versatilità che gli va riconosciuta e di quella solida cultura di fondo che ha animato la sua partecipazione all’amato cinema tedesco.

 

Il tamburo di latta (1976)