In una bellissima conferenza stampa a Cannes, Bacri aveva confessato che gli sfuggiva il senso della vita e che il suo libro di culto era L’uomo senza qualità. Adorava il personaggio di Musil che cade nell’indifferenza, nella passività senza un perché. Però un modo per affrontare l’esistenza l’aveva trovato nell’umorismo, nell’autoironia. Per questo il pubblico francese lo amava così tanto. Era nato a Bou Ismaïl, in Algeria, il 24 maggio 1951 Jean-Pierre Bacri che ci ha lasciato lo scorso 18 gennaio. La settima arte entra nella sua vita da bambino grazie al padre postino che per arrotondare, nel fine settimana, lavora in un cinema. Trasferitosi a Cannes nel 1962 con i genitori, pensa di diventare insegnante di francese e latino, ma poi cambia idea. Va a Parigi dove si iscrive al Cours Simon e per mantenersi lavora comma maschera all’Olympia. Intanto scrive pièces teatrali e una di queste, Le doux visage de l’amour, vince un prestigioso premio (prix de la Vocation 1979). Arrivano i primi ruoli al cinema: il suo essere “pied-noir” lo porta a interpretare Jacky, uno dei nipoti del patriarca a capo del clan Bettoun, in Le Grand Pardon (1981) e l’anno dopo a recitare in Le Grand Carnaval (1982), entrambi di Alexandre Arcady. Dopodiché inizia a essere richiesto in ruoli da flic: è l’ispettore Daniel Esperanza in Il settimo bersaglio (1984) di Claude Pinoteau, il poliziotto incapace e frustrato in Subway di Luc Besson (1985). L’anno dopo interpreta il fallito Fane, co-protagonista di L’été en pente douce (1986) di Gérard Krawczyk, trasposizione dell’omonimo romanzo di Pierre Pelot, film di denuncia sociale che in Francia è un grande successo.
I ruoli da protagonista arrivano più avanti, quando la sua faccia inconfondibile è segnata dal passare del tempo e soprattutto dopo l’incontro con Agnès Jaoui, avvenuto nel 1986, a teatro (recitano ne Il compleanno di Harold Pinter). Insieme daranno vita a uno dei sodalizi privati e artistici più spumeggianti del cinema d’Oltralpe. Oltre a recitare, sono anche autori di sceneggiature che lasciano il segno e vengono premiate con il César: Aria di famiglia (1995) di Cédric Klapisch, Smoking/No smoking (1993) e Parole, parole, parole… (1997) di Alain Resnais che li soprannomina affettuosamente i “Jabac”. Per l’interpretazione dell’ipocondriaco Nicolas in Parole, parole, parole… Bacri ottiene il César per il miglior attore non protagonista. Interpreta e scrive i film della Jaoui – Il gusto degli altri (2000), Così fan tutti (2004), Parlez-moi de la pluie (2008), Quando meno te l’aspetti (2013), Place Publique (2018) – ma lavora anche con Alain Chabat (Didier, 1994, Christmas & Co., 2017), Nicole Garcia (Place Vendôme, 1998, Quello che gli uomini non dicono, 2006), Claude Berri (Une femme de ménage, 2002), Nakache e Toledano (C’est la vie. Prendila come viene, 2017). Il sodalizio con la Jaoui non si interrompe nemmeno dopo la loro separazione, avvenuta nel 2012. In un’intervista a Gala del 2017 Bacri a proposito dell’ex compagna afferma: «Agnès, è la grande storia della mia vita e penso sia reciproco. Ci amiamo. È la mia anima gemella».
Molto attivo anche a teatro dove vince due premi Molière (uno per l’interpretazione di Chrysale in Le intellettuali di Molière per la regia di Catherine Hiegel e l’altro per Cuisine et dépendances, come miglior pièce, testo scritto insieme alla Jaoui, poi portato sul grande schermo da Philippe Muyl nel 1993). Confinato al ruolo di “brontolone” del cinema francese (“le râleur”) – così lo hanno salutato i giornali francofoni (Le Monde, Libération , con la variante “le bougon” ovvero “il burbero”, Le Figaro, Paris Match, Le soir solo per citarne alcuni), Jean-Pierre Bacri, con quella sua aria smarrita e quel suo senso di inadeguatezza, quello sguardo bastonato, ma quasi trattenuto come se fosse sempre sul punto di esplodere, è stato un grande interprete. Decisamente sottovalutato.