Cosa hanno in comune Il guardiano del frutteto (1965), Il buio fuori (1968), Figlio di Dio (1974), Sutree (1979), i primi quattro romanzi di Cormac McCarthy? Che quando sono usciti hanno tutti venduto fra le 2 e le 3mila copie. Una miseria. Però i libri ricevevano recensioni entusiastiche dal meglio della critica americana ed erano molto amati dagli altri autori. Era uno “scrittore per scrittori”, non rilasciava interviste, si diceva che vivesse come un eremita. Ma il successo era solo una questione di tempo: è arrivato quando ha iniziato a giocare, a ripensare le convenzioni dei generi western, thriller poliziesco e horror. Poi il cinema, soprattutto con Non è un paese per vecchi (2007) dei fratelli Coen gli ha fatto conquistare il mondo. Meridiano di sangue (1985) è stato l’apripista: subito battezzato da Harold Bloom – che in un celebre saggio definisce i magnifici quattro della narrativa americana Philip Roth, Thomas Pynchon, Don Del Lillo, Cormac McCarthy – come il “western definitivo”, è una danza macabra di morte che tutto travolge: c’è persino un albero con bambini impiccati… Liberamente basato su eventi storici, il romanzo segue un quattordicenne noto semplicemente come “il ragazzo”, che si unisce a un gruppo di cacciatori di taglie (e di scalpi), dopo la guerra messicano-americana. E dove scorre il sangue c’è un gigante, il giudice Holden, un pazzo che uccide senza esitazione e afferma:«la gurra è il gioco per eccellenza perché la guerra è in ultima analisi un’effrazione dell’unità dell’esistenza. La guerra è Dio».
Il trionfo di pubblico negli Stati Uniti arriva con la Trilogia della frontiera: Cavalli selvaggi (1992), Oltre il confine (1994), Città della pianura (1998). I romanzi hanno come protagonisti due cowboy, John Grady Cole e Billy Parham. John è l’unico a comparire nel primo romanzo della serie (finito sul grande schermo in un’afasica riduzione, Passione ribelle, firmata da Billy Bob Thornton). Una storia di formazione nella quale, nel 1949, un giovane cowboy texano imbocca la pista che conduce in Messico e finisce per incontrare amore e morte. In Oltre il confine tocca a Billy prendere la scena. Un decennio prima rispetto a Cavalli selvaggi è impegnato in una caccia a una lupa venuta dal Messico. Dopo la cattura decide di riportarla indietro, da qui inizia l’avventura di due fratelli, una storia mitica fatta di cavalli, scontri, passione, ferite. Con Città della pianura cala il sipario sulla trilogia. Siamo nel 1952, Billy e John lavorano nello stesso ranch nel Nuovo Messico. Insieme frequentano un bordello, dove John si innamora della prostituta Magdalena, ricordando, forse, il suo amore infelice per Alejandra nel primo romanzo. Ma il loro tempo è finito. Il destino li aspetta, il mondo della frontiera sta scomparendo. Nella strepitosa scena finale Billy, ormai 78enne, vive come un barbone nell’Arizona di oggi. Con la Trilogia McCarthy si apre a un pubblico maggiore senza rinunciare a un grammo di elegenza, potenza e capacità evocativa.
Certo la forza barocca della lingua dei primi quattro romanzi viene meno. In quelle opere ha spogliato la maggior parte delle frasi di punteggiatura, limita persino l’uso delle virgole e fa a meno del punto e virgola e delle virgolette; gioca con la sintassi tradizionale, inventa vocaboli e parte alla ricerca dei termini più infrequenti e incredibili della lingua inglese. Molti critici notano anche la straordinarietà del suo orecchio per la parlata americana del sud-ovest (e questo aspetto ci è precluso, nonstante i vari traduttori abbiano fatto un lavoro mostruoso per rendere la lingua di McCarthy). A quei tempi Anatole Broyar, del New York Times, definiva la sua scrittura “un’ipnosi del dettaglio” in una recensione di Suttree, dove un uomo benestante alla fine degli anni ’40 abbandona una vita comoda per andare a vivere su una casa galleggiante a Knoxville, sul fiume Tennessee. Senza un motivo lascia la moglie e un figlio, campa pescando ed è circondato da una incredibile collezione di reietti, delinquenti e pazzi. La causa della sua abiezione resta un enigma fino alla fine, com’ è tipico dei personaggi di McCarthy.
In un’intervista del 1992 al Times lo scrittore rispondeva all’accusa di essere troppo violento: «Non esiste una vita senza spargimento di sangue. Penso che l’idea che la specie possa essere migliorata in qualche modo, che tutti possano vivere in armonia, sia un’idea davvero pericolosa. Coloro che sono afflitti da questa fissazione sono i primi a rinunciare alla loro anima, alla loro libertà. Questo desiderio renderà schiavi e renderà vuota la vita». McCarthy ama l’azione e le “vivide descrizioni”, non gli sono mai interessati i dettagli sui pensieri e i sentimenti dei personaggi e lo teorizza. Non vuole portare i lettori all’interno delle menti dei suoi protagonisti e più volte ha scritto di fare fatica a comprendere l’approccio di Henry James o Proust. A questo modo di pensare (e scrivere) contribuisce certamente il fatto che McCarthy è tutto tranne che un autore progressista e laico, per intendersi siamo nei dintorni di Clint. Odia ciò che l’America è diventata, ma sa che non si può tornare indietro e quindi rimane l’apocalisse singola e collettiva. In Il buio fuori un uomo mette incinta sua sorella e lascia morire il loro bambino nei boschi, In Figlio di Dio un serial killer necrofilo riempie una caverna di corpi, in Non è un paese per vecchi (2005) il sicario Anton Chigurh uccide (anche) lanciando la moneta…Però una via d’uscita appare all’orizzonte ed è la famiglia di La strada (2006): un padre portatore della giustizia e un figlio che protegge, propone la misericordia. Bisogna sempre tenere presente che all’assoluto realismo McCarthy affianca sempre il mito con simboli che affondano direttamente nella tradizione letteraria, come accade in William Faulkner, uno dei suoi punti di riferimento.
«Se non riguarda la vita e la morte non è interessante» ha detto una volta Cormac McCarthy. Terzo di sei figli, Charles Joseph McCarthy Jr. era nato a Providence, il 20 luglio 1933 e cresciuto in Tennessee (dove sono ambientati i primi quattro romanzi). Si dice che Cormac fosse un vecchio soprannome di famiglia. Nel 1976 dopo essersi separato dalla seconda moglie (alla fine saranno tre, con due figli) si trasferisce a El Paso, affascinato dal paesaggio e dalla mitologia del West. Tutti i suoi matrimoni sono naufragati e ha ammesso di essere stato un padre assente. L’unica sua urgenza è sempre stata la scrittura. Ha vissuto per oltre vent’anni in un’indigenza assoluta, nel 1981 ha vinto il premio MacArthur e ha potuto finalmente lasciare la stanza di motel dove abitava. Si è sempre rifiutato di insegnare scrittura creativa, non ha mai tenuto letture pubbliche, non ha mai autografato copie dei suoi libri (a parte le 250 di The Road che ha regalato al figlio per venderle e tenersi il denaro), non ha mai promosso le sue opere, ha (forse) rilasciato una decina di interviste. Oprah Winfrey l’ha voluto a tutti i costi nel suo programma per The Road. McCarthy si è esibito in una performance leggendaria, passando il tempo a distogliere la conversazione dalla letteratura per deviarla verso la musica country, la fisica teorica e il comportamento dei serpenti a sonagli. La sua esistenza è stata guidata sempre e solo da una feroce devozione alla scrittura senza preoccuparsi minimamente delle prospettive commerciali del suo lavoro.
Il rapporto con cinema e televisione è ambivalente. I film gli hanno dato la fama e ampliato a dismisura la platea dei lettori. Le sceneggiature sono state sottovalutate, ma quella di The Counselor – Il procuratore è un capolavoro sullo scioglimento del vincolo sociale, sulla dissoluzione delle regole e delle consuetudini che fanno di un insieme di individui una società. Va ricordato che i Coen per lo script di Non è un paese per vecchi sono partiti dalla sua sceneggiatura e che l’adattamento del suo spettacolo teatrale The Sunset Limited è diventato un film HBO interpretato Samuel L. Jackson nei panni di Black, un ex detenuto e cristiano rinato che cerca di dissuadere White (Tommy Lee Jones, anche regista) dal suicidio. Quando se n’è andato McCarthy stava collaborando con John Hillcoat alla sceneggiatura di Meridiano di sangue. Che occasione mancata…
Il prossimo settembre (per Einaudi) uscirà Stella Maris, con Il passeggero fa parte di una diade che rappresenta il testamento di Cormac McCarthy. I romanzi raccontano la storia di due fratelli. Il passeggero si occupa di Bobby, Stella Maris di Alice. I due sono i figli di un fisico ebreo che ha lavorato con Robert Oppenheimer al Progetto Manhattan. Sono cresciuti a Los Alamos ed entrambi sono matematici di valore. Bobby dopo una borsa di studio abbandona tutto perché non si considera abbastanza bravo. Va in Europa, si mette a correre in Formula 2, fino a quando, nel 1972, per un incidente finisce in coma. Il romanzo prende il via nel 1980 quando Bobby ha trentasette anni e lavora a New Orleans come sommozzatore. Avrebbe preferito rimanere in coma, perché si è svegliato in un mondo di dolore. Alicia era un genio (e una grande violinista), ma nella sua breve esistenza ha bordeggiato fra da schizofrenia e depressione. Si è suicidata poco dopo l’incidente di Bobby. In Il passeggero Alicia è solo un ricordo anche se il romanzo è abitato da scene che descrivono le sue allucinazioni: porta avanti bizzarre conversazioni con un nano calvo… Stella Maris, prende il nome da un istituto psichiatrico nel Wisconsin. Il romanzo è incentrato sulla ventenne Alicia e le sue conversazioni terapeutiche con il dottoressa Cohen. Siamo nel 1972, con Bobby in coma in Italia, e Alicia che inizia ad accarezzare l’idea del suicidio. Negli anni Cormac McCarthy ha orientato i suoi interessi sempre di più verso la matematica, la fisica e lo studio del linguaggio. Nel 2017, per la rivista scientifica Nautilus, ha scritto il suo primo saggio e si è occupato della relazione tra linguaggio e inconscio. Par di capire che le parole siano lontane dalla verità, rispetto ai numeri e alla musica. Lo afferma chiaramente Alicia: «l’intelligenza sono i numeri. Non sono le parole. Le parole sono cose che abbiamo inventato. La matematica no». In sintesi: la matematica comunica con la verità. Lavorare con le parole, scrivere semplicemente romanzi, è produrre vaghe approssimazioni alla verità. Cormac McCarthy ha impiegato oltre dieci anni a scrivere i due romanzi e non ha ritenuto opportuno rilasciare nessuna dichiarazione in merito alla genesi di Il passeggero e Stella Maris.