A Imelia, una cittadina del nord Italia non meglio identificata, in un futuro non troppo lontano, il diciannovenne Billy (Matteo Oscar Giuggioli), ex bambino prodigio, prova a trovare il suo posto nel mondo occupandosi di una madre strampalata, Regina (Carla Signoris), che riesce sempre a mettersi nei guai. Ad aiutarlo la paziente colf Jocelyn (Kristina Hermin), il soporifero pompiere Massimo (Giuseppe Battiston) e i farmacisti del luogo (Sandra Ceccarelli e Roberto Citran). Gli unici amici di Billy sono un gruppo di bambini che passa i pomeriggi nella roulotte del ragazzo giocando e osservando attraverso il buco nel tettuccio gli aerei in transito, Penelope (Carlotta Gamba) con il suo baracchino di panini al confine del mondo e Lena (Benedetta Gris) da cui Billy è attratto. L’arrivo di Zippo (Alessandro Gassman), rocker perennemente in fuga e figura mitizzata da Billy che gli aveva dedicato un celebre podcast, scombussola il già precario equilibrio del luogo e dei personaggi.
Una solida e originale opera prima che parla di padri (assenti) e figli, del peso del passato con cui non si può mai chiudere (perché, come ci ha insegnato Magnolia di P.T. Anderson – e ancor prima Shakespeare – «Noi possiamo chiudere col passato ma il passato non chiude con noi») e lo fa in modo leggero, ma profondo, riflettendo sulla perdita delle persone care e sull’importanza del cambiamento e omaggiando il cinema americano (da Peckinpah a Lynch, passando per P.T. e Wes Anderson). Ne abbiamo parlato con Emilia Mazzacurati, regista e sceneggiatrice di Billy.
Scegli di ambientare il tuo film in un non luogo che è l’anagramma del tuo nome e che ha molto dell’immaginario americano…
L’ambientazione è stata fin da subito, a istinto, molto importante, una delle primissime cose che mi sono venute in mente per questa storia, quasi come se fosse essa stessa una sorta di personaggio: doveva trattarsi di una cittadina fittizia, una frazione periferica di una provincia del Nord Italia non ben identificata. La storia è partita proprio dal piccolo nucleo di madre e figlio con questo rapporto all’inverso e dall’ambientazione, che pian piano ho popolato. Il fiume fa da frontiera, poi ci sono il Pitstop di Penelope che è l’ultimo baluardo di questo microcosmo prima del mondo, dietro ci passa il treno, la gente si muove… Si tratta di cose ben identificabili o comunque che cercavo di far rimanere in una memoria: la piscina con la sua insegna, la farmacia con il pillolone, posti che creassero una memoria interna che non è caratteristica di un luogo solo, ma porta in sé tanti riferimenti, luoghi e sentimenti anche con i suoi colori abbastanza accesi. Da questo punto di vista c’è stato un gran lavoro sulla fotografia, sulla scenografia e successivamente anche sulle musiche affinché restituissero questo senso di solitudine…
Visivamente i luoghi di cui parli ricordano i quadri di Edward Hopper.
Sì, assolutamente. È stato sicuramente un riferimento mio, poi ci sono cose consce e altre inconsce, questo credo sia un mix perché sicuramente ha fatto parte della mia formazione (è laureata in storia dell’arte, ndr) ma mi ci sono anche rifatta volutamente, nelle insegne luminose o nella scena dal benzinaio dove c’è la luce calda che illumina l’azione tra Lena e Billy, la luce fredda che li circonda, la luce verde e rossa di quel baracchino illuminato… Quando guardo i quadri di Hopper, mi sembra ci sia sempre qualcosa al di là dell’inquadratura che lui ha deciso, qualcosa che incombe, di altro, questo è il concetto a cui ho cercato di ispirarmi maggiormente.
Il tuo film è un omaggio al grande cinema americano, penso alla carrellata iniziale sulle villette e i loro strampalati abitanti che ricorda l’incipit di Velluto blu.
Vero… Questo film è nato come un cortometraggio poi ha preso sempre più spazio e non ci stava più. L’idea iniziale del protagonista che avesse un rapporto speciale con i bambini dell’età in cui era stato più felice e poi tornasse a casa mostrando il quartiere e qui ci fosse la madre, era lo spunto iniziale del corto. Da subito quella scena era fondamentale sia per presentare l’ambientazione, sia per presentare i personaggi che lo popolano, quasi come se fosse un cartone.
C’è anche il western, a partire dalla scelta del nome del protagonista che viene direttamente da Billy the Kid. Sei un amante del genere?
Molto, sì, è una mia passione. Il nome di Billy è partito da Pat Garrett e Billy the Kid di Peckinpah, poi ci siamo inventati una locandina fittizia. Ho un grande amore per questo film, ma anche per Sentieri selvaggi di John Ford, sono le cose che fin da piccola mi hanno formata, fanno parte di me da tanto e ho avuto modo di elaborarle. Poi ci sono anche altri richiami, ad esempio la figura di Zippo l’ho sempre vista come un eroe solitario per cui ho scelto volutamente quell’uscita di scena. Sono sentimenti che sicuramente mi appartengono…
Billy è un racconto di formazione al contrario, in cui sono gli adulti a dover crescere, mentre i bambini sembrano avere preso il loro posto.
E come se i più piccoli avessero assorbito dentro di loro le maturazioni degli adulti, tante cose che i grandi sembrano aver dimenticato. È un racconto di formazione al contrario nel senso sia, come dicevi tu, che i piccoli sono quasi più adulti degli adulti stessi, ma anche perché di solito il romanzo di formazione è una perdita dell’innocenza, mentre qui mi sembra che il percorso sia una ricerca per fidarsi di nuovo, per ritrovare gradualmente un po’ di fiducia nella vita. Anche questo, come tante cose in questa storia, avverrà in qualche modo all’inverso attraverso un’esperienza di fine di vita.
In Billy i padri abbandonano i figli, ma è una mancanza che si fa sentire, sono in realtà molto presenti nell’assenza…
Mi piace questo concetto dell’assenza che si fa presenza, ci sto ragionando anche adesso perché è qualcosa che è emerso su tanti punti, su tanti personaggi anche senza ragionarci troppo. Sono echi che tornano in svariati modi e che mi riguardano… Non a caso ho girato i flashback con lenti sferiche più nitide di quelle che invece ho usato per il presente, che invece sono anamorfiche molto morbide. In genere i flashback sono meno nitidi nella memoria, invece nella mia storia questo passato che è fin troppo presente – e più del presente – era importante e avevo bisogno di renderlo anche in questo modo.
Fai il ritratto di un’umanità dolente e spaventata che nonostante tutto non si arrende…
Sì, e qui entra in ballo la natura che va avanti nonostante tutto. Anche il ciclo lunare in Billy va all’inverso perché cala e quando Zippo se ne va inizia a ricrescere… Allo stesso modo nel finale sembra che ogni filone prenda una sua strada, ci sia una chiusura o quanto meno un compimento, Billy e Lena sono fermi ma la notizia che hanno appena scoperto fa andare avanti le cose. C’è la luna che non è mai perfettamente piena, ma forse in qualche modo durante questa formazione hanno imparato a cavarsela nel futuro che sarà sempre problematico, come per tutti.
Nel tuo film tutti gli adulti fumano e fumano molto, una scelta decisamente controcorrente…
Per quanto riguarda Regina la sigaretta era imprescindibile: lei è il personaggio più autobiografico, gli altri sono assolutamente di finzione, ma il suo, pur essendo molto romanzato, è ispirato a una mia nonna che era la persona che fumava di più al mondo, bruciava le lenzuola… Poi sì, in effetti forse è una debolezza dei grandi, tornando a quel che dicevamo prima i piccoli sono più coscienti. Ogni generazione ha da dire la propria, ma alla fine siamo meglio di quello che sembra.