La fine dei vent’anni secondo Motta

Ha fatto centro all’esordio solista, conquistando con il (cog)nome d’arte Motta la Targa Tenco 2016 per la miglior opera prima e arrivando secondo (dietro Niccolò Fabi) nella categoria “miglior disco italiano dell’anno” dei Rockol Awards, allestiti dal più importante sito italiano di musica, Rockol appunto. La storia di Francesco Motta è tuttavia ben più risalente: l’eclettico polistrumentista è stato infatti il paroliere, batterista e cantante dei Criminal Jokers, band pisana con cui ha inciso due dischi, oltre a collaborare con nomi di rilievo quali Nada, Zen Circus e Pan del Diavolo. Trent’anni compiuti da poco, Motta ha celebrato il passaggio alla maturità con un disco di rock alternativo dalla vena felice, La fine dei vent’anni, prodotto da Riccardo Sinigallia: le sonorità affrontano territori elettrici, ma sanno raccogliersi anche nel guscio intimo voce-chitarra; i testi sono pragmatici e antilirici, eppure lontani dai toni ironici che caratterizzano molta musica indie nostrana, e che in Toscana sembrano trovare terreno particolarmente fertile.

 

Nel brano che presta il titolo al disco, si ascolta: “La fine dei vent’anni è un po’ come essere in ritardo: non devi sbagliare strada, non farti del male, e trovare parcheggio. Amico mio, sono anni che ti dico andiamo via, ma abbiamo sempre qualcuno da salvare…”. Tu, alla fine, hai lasciato Livorno e sei approdato a Roma. Avevi l’urgenza di dire qualcosa di soltanto tuo?

Diciamo che non c’è più la paura di metterci la faccia. L’inglese dei primi brani mi permetteva di mantenere la distanza dalla materia, ma anche nelle canzoni scritte in italiano per i Criminal Jokers non c’era assolutamente la consapevolezza di oggi. Parlo di me e delle mie fragilità senza guardare troppo fuori, perché ho imparato ad accettare i miei limiti e i miei errori senza vergognarmene. E con questo disco ho scoperto davvero l’importanza delle parole.

 

Nei live i tuoi pezzi mutano forma…

Dal vivo risultano molto più psichedelici che su disco; sono più vicini all’idea di suono che avevo in mente. Ci sono loop reiterati, e i brani diventano mantra dove perdersi; c’è più dinamica e più energia, perché il passaggio dal piano al forte crea un contrasto esplosivo.

 

Rimpianti per la scena toscana?

Da qualche anno vivo a Roma e mi ci trovo bene. Ammesso che ci sia una scuola toscana, nella musica come nel cinema, sento di non appartenergli: la sana malinconia di certe canzoni e di certi film proprio non fa per me…

 

Come sono stati i tuoi vent’anni?

Ho avuto molto dai miei vent’anni, che sono stati fantastici. Quelli che arrivano saranno per forza diversi: li vorrei divertenti, se non altro.

 

I tuoi racconti sono personali, ma allo stesso tempo tu li consideri politici…

Perché sono politiche pure le canzoni che sembrano parlare d’amore, come per esempio Sei bella davvero. In fondo, lo è qualunque canzone in cui dici ciò che pensi e prendi posizione. Perciò non ha alcun problema a considerarle politiche.