Silvio Berlusconi non c’è più. Concetto grosso, grande quanto una casa, in realtà poco probabile, tanto la sua presenza è stata determinante, ingombrante, invasiva finanche in queste ultime luttuose ore. Si dice che ha cambiato l’Italia. Probabilmente è ancor più vero che l’Italia ha cambiato lui, trasformando un imprenditore immobiliare in un editore televisivo e infine in quel politico di cui qualcuno aveva bisogno sul far della Seconda Repubblica. La verità è che la sua parabola è stata una narrazione infinita, forse persino sterminata… Un continuo superare il livello di guardia dell’esposizione al potere dell’immagine, in un processo che ha divorato se stesso e ha prodotto più dissenso e consenso che senso. Dissennato, del resto, ha saputo esserlo, con punte squisitamente surreali e spigolature che celavano nell’autoironia il compiacimento del proprio smisurato potere. Non ha mai raggiunto la statura di una figura tragica, perché aveva una naturale, sincera e spesso imbarazzante (considerati i ruoli che ricopriva) predilezione per la commedia. La sua storia è durata tanto che abbiamo avuto il tempo di dimenticarne l’incipit e lo svolgimento. Ma per ricordare il primo basta rivedere Il caimano o anche solo le serie Sky 1993 e 1994, e per ripassare il secondo ci sono Viva Zapatero o Draquila o Silvio Forever e gli altri documentari. Quanto alla fine, la stiamo vivendo in gramaglie in questi giorni di luttuosa sospensione del patrio dire e fare (e votare in parlamento)…
Refrain ormai abituale di questa mesta Versailles che è diventato il nostro mondo, in bilico tra infinite esequie (Elisabetta II solo pochi mesi fa) e sfinito ossequio (l’incoronazione di Carlo III). Tutto un ceruleo profluvio di ritualità e ufficialità che sveste il presente e riveste antichi bisogni di sacralità del potere o di potere della sacralità. L’oggi non conta perché non conta la realtà dei fatti (come si diceva nella neolingua orwelliana la pratica di riscrivere gli eventi passati?), contano gli artefatti della realtà, le bestemmie contestualizzate…
Il punto fermo del suo cammino resta però l’immagine: di cui si è occupato, che ha occupato e da cui è stato occupato… Un cortocircuito perfetto che ha disinnescato i processi democratici dell’immaginario (e naturalmente anche della politica) e che ha alimentato un contraddittorio tra il potere dell’immagine e l’immagine al potere che si è prolungato per decenni, diventando la narrazione stessa del suo essere in campo. Lo si guardava come un’immagine che guarda se stessa, come uno specchio che contempla il proprio riflesso: tra lui e la sua presenza scenica non c’è mai stata soluzione di continuità. Il suo essere “in campo” non prevedeva un “fuori campo” per il semplice motivo che era funzione di quella discesa in campo (dall’alto, deus ex machina…) che era all’origine del (suo) Tempo.
È stato araldo e poi cavaliere di un potere immane che ha occupato tutto e tutti attraverso la materia delle immagini: dalle televisioni al cinema, ai giornali, al calcio… Non c’è stato ambito dei processi funzionali dell’immaginario popolare che non abbia visto il suo intervento. L’accesso in politica è stato il perfezionamento di tutto questo, l’applicazione pratica di un teorema che aveva dimostrato più e più volte nei settori della comunicazione. Impossibile sbagliare…Restava l’uomo, come è stato detto in omelia funebre. L’uomo solo al comando, come aveva detto Paolo Sorrentino in Loro (ormai oscurato nel nostro paese), languido ritratto di solitudine malinconica che non lascia scampo all’immagine della gioia. Silvio Berlusconi non c’è più. Silvio Berlusconi ci sarà sempre…