Nicole Garcia è rimasta affascinata dal romanzo Mal di pietre di Milena Agus e ha deciso di portarlo sul schermo spostando l’azione dalla Sardegna in Francia, cambiando anche la trama. Gabrielle/Marion Cotillard è la donna che rompe le regole, che si lascia guidare dal desiderio oltre le convenzioni sociali, che la madre dà in sposa a un uomo che non ama. Il marito non corrisposto è Josè (Alex Brendemühl), in fuga dalla Spagna di Franco, ma il grande amore della sua vita è André Sauvage/Louis Garrel, il giovane tenente incontrato in una stazione termale, dove Gabrielle viene ricoverata per calcoli ai reni, il “mal di pietre” appunto che le impedisce di aver quei figli che lei in realtà non vorrebbe. Un personaggio che – seppur nei cambiamenti della trama – ha lo spirito di quello creato da Milena Agus: “L’avevo molto amata nel libro – racconta Nicole Garcia durante l’incontro con il cast al Festival di Cannes – e pensavo che Marion Cotillard fosse l’interprete ideale. È sensuale quasi in modo animale. Ed è stata posseduta dal personaggio. Non solo da attrice, ma da artista. Una follia creativa. Gabrielle/Marion è una donna sensuale, che vuole seguire i suoi desideri oltre le convenzioni”.
Io e il personaggio
André Sauvage non l’ho visto come un eroe romantico: ho disegnato un personaggio triste, del quale aveva bisogno il film. Un uomo consapevole di essere sospeso tra la vita e morte. Marion ha detto che per rendere Gabrielle così “sensuale” l’ha immaginata bambina. Non sono d’accordo con lei. Nessuno è mai stato innocente: io forse lo sono stato per i primi 18 mesi della mia vita. Ma poi basta. Tra Gabrielle e André il legame è così forte, direi “bestiale”, che anche se all’inizio il fatto che lei sia sposata è un freno, poi tutto cambia. La passione non conosce morale.
Le relazioni nei miei film
A rifletterci tutti i miei film raccontano relazioni complesse, legami intimi che sono e provocano ferite. Li chiamo i miei film da camera. Non so quanto sia consapevole o inconscio, ma raccontare l’amore è il motivo per cui recito. Il cinema per me è molto vicino alla psicoanalisi e penso che le storie d’amore siano il modo migliore in cui l’inconscio viene alla luce. In questo film in particolare, il mio personaggio è lo specchio in cui si riflette la sessualità di una donna che all’inizio non si conosce, non è completamente lei. La sensualità di Gabrielle è come prigioniera: quando André la libera, libera anche tutto il resto di lei. La rende completa. In fondo è come nella coppia: serve un terzo elemento per scuoterla dal torpore, per provocarla
La grandezza di Marion
Marion è davvero una virtuosa della recitazione. Riesce a essere anche brutale con se stessa: sul set non me ne sono accorto, ma quando ho visto il film… È come Isabelle Huppert: sono sempre concentrate e insieme vaghe, come se pensassero sempre a un altro mondo, come se fossero sul confine di qualcosa.
Marion Cotillard: Gabrielle è in fuga dalla sua vita
Gabrielle cerca un modo di fuggire da una realtà che non ama. È preda di una febbre, la febbre della ribellione, la febbre del desiderio. E non è una che rinuncia: mai. Potrebbe scappare dalla famiglia, ma qualcosa la tiene lì. La storia è ambientata nel secondo dopoguerra. Ma è ancora attuale. È la storia di una donna che quasi diventa folle perchè la società soffoca i suoi desideri, i suoi impulsi. Un discorso sempre aperto. Mai lasciare che qualcuno ti privi dei tuoi desideri. Come sempre per me è fondamentale andare alle radici del personaggio, conoscere il suo passato, arrivare fino al momento in cui era un bambino innocente.