Mauro Ermanno Giovanardi: canzoni come colonne sonore

giovanardiilmiostileHa attraversato oltre venticinque anni di musica italiana, cantando prima in inglese e poi nella lingua di Dante, passando dal punk e dal rock dei Carnival of Fools, al mix particolarissimo di elettronica e canzone d’autore che furono i La Crus, alle atmosfere morriconiane della carriera solista, in cui ha accentuato i modi da crooner e immesso ulteriore qualità nei testi; sempre con la cifra inconfondibile rappresentata da quella voce profonda, limpidamente strutturata, tridimensionale, che lo rende riconoscibile qualunque cosa canti. Mauro Ermanno Giovanardi, Giò nell’ambiente musicale, ha vinto la sua seconda Targa Tenco (la prima volta era stato premiato come interprete) per il miglior album 2015, Il mio stile, un disco che deve il titolo al brano Il tuo stile del francese Léo Ferré, che Giovanardi ha posto al centro di un progetto per il resmauro_ermanno_giovanardi_quando_suono_cover.jpg___th_320_0to personalissimo: un’opera impeccabile, sensuale, dal ritmo moderno, ma dalle suggestioni vintage e con molte soluzioni sul versante sonoro e interpretativo. Più in generale, anche prima che questo album consacrasse il nuovo corso, Giò ha dimostrato di avere la qualità e l’intensità per tenere insieme, legati da un’ideale fil rouge, i brani scritti in prima persona, quelli realizzati appositamente per lui da diversi autori e le magnifiche cover (da Piero Ciampi a Neil Diamond, da Bruno Martino a Paolo Conte, da Luigi Tenco a Sonny & Cher) che ha  proposto solo quando ha sentito di poter fare suo un pezzo di altri. Su questo è definitivo: “O di una canzone altrui fai una versione realmente ispirata o la lasci andare: una cover tanto per farla, per me non ha senso”. Abbiamo intervistato Giovanardi in una pausa della tournée che ha intrapreso a metà autunno, essa pure aperta a molte variabili, dato che il cantante/musicista modula la composizione della band che lo accompagna secondo i luoghi in cui canta, spaziando dal duo acustico, al trio con piano e tromba, alla line up classica con basso, chitarra e batteria, mentre lui si riserva di suonare in alcuni frangenti l’armonica e le percussioni.

 

Giò: partiamo dalla scelta di rifare Il tuo stile di Léo Ferré

L’avevo in mente da tanto, avevo persino pensato di inserirla in Ho sognato troppo l’altra notte?, il mio disco del 2011. La vedevo in chiave punk; in un primo momento ho rinunciato perché si tratta di un brano potente, tutto espressione, in cui ogni parola è importante e deve risultare chiara. Ho atteso, fino a trovare una linea interpretativa che sentissi veramente mia. Poi l’ ho messa nel cuore del disco, come spartiacque tra le prime tracce, che sono l’ideale prosecuzione di un discorso avviato, e le successive, che sono più libere.

 

C’è una sorta di revival diffuso, negli ultimi tempi, per quanto concerne Léo Ferré, che visse in Toscana i suoi ultimi anni, ma che in Italia è stato amato più dagli interpreti che dal grande pubblico: ci avete messo mano tu e i Têtes de Bois; e pure Paola Turci, che pare stia preparando un album intero dedicato allo chansonnier…

Per quanto mi riguarda, l’ispirazione è piuttosto risalente nel tempo, addirittura al momento della realizzazione di Crocevia con i La Crus, ed è legata a questa specifica canzone. Mi capitò di parlarne con Paola Turci durante una nostra collaborazione. Forse il suo desiderio di approfondimento nasce da lì, ed ora trova forma in un disco.

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Il tuo background musicale guarda a Nick Cave, al post punk, perfino ai Massive Attack. Ma poi spuntano Tenco e gli anni Sessanta, Piero Ciampi, i Portishead, …

Mi piace contaminare. Ma ho sempre puntato al recupero della “forma canzone”, attraverso un lavoro sulla parola, sull’espressione. Voglio arrivare all’arrangiamento di ogni brano come se fosse una colonna sonora.

 

Vesti le tue canzoni con abiti diversi. E nei live sperimenti spesso, che sia in trio pianoforte/ tromba/voce o con un’orchestra di ukulele, come in occasione della collaborazione con il Sinfonico Honolulu per la pubblicazione di Maledetto colui che è solo, un album che rivisitava il tuo repertorio con sonorità hawaiane. Nella tournée in corso cosa proponi?

Vario quasi ogni sera, a seconda dei luoghi in cui suono. La linea prevalente, che prevede il quartetto, è di impostazione praticamente beat: con molta chitarra, rock, ma senza sonorità troppo violente. Io amo i suoni moderni, ma conditi con sapori forti, come avveniva in passato: così curo i dettagli, perché non voglio troppe citazioni. Non considero arte il manierismo.

 

La band in questo caso è funzionale al progetto…

Fondamentale. Le chitarre di Marco Carusino lo sono per l’attitudine, la pronuncia, il sound complessivo; Leziero Rescigno, oltre che un grande batterista è il produttore degli ultimi dischi; Alessandro Gabini un bassista di valore.

 

la_crus_1I La Crus sono in stand by o sono un capitolo chiuso?

Sono stati un grande amore. Poi con Cesare Malfatti, dopo quasi vent’anni di collaborazione, abbiamo preso strade diverse. Giusto così, non avrebbe avuto senso trascinare una bella storia verso un finale mediocre.

 

Vorrei conoscere il tuo mondo letterario di riferimento che, diversamente da quello musicale, appare più sfuggente, meno rintracciabile nelle tue incisioni…

Ho frequentato a lungo i classici, ma poi ho avvicinato in particolare la poesia, per la forte consonanza con la “forma canzone”, e continuo ad amarla ancora oggi. Per il resto, ti stupirò: da anni preferisco la saggistica alla narrativa, e in questo momento il libro che ho sul comodino è Archeologia e semiotica di Marco Ramazzotti. Bello, e tosto…

 

Quali progetti hai in cantiere, una volta finita la tournée?

Al momento ho una gran voglia di suonare, suonare, suonare…Poi metterò mano a un nuovo disco. Ma non ho ancora deciso se conterrà inediti. Sono attratto dalla possibilità di un lavoro trasversale su una stagione musicale come quella (milanese, in particolare) degli anni Novanta che trovo feconda e stimolante, che ho vissuto in prima persona e che mi sembra sia stata archiviata troppo in fretta. Chissà…

 

A proposito di Milano. Ne Il mio stile c’è un omaggio al capoluogo meneghino dal sapore agrodolce, Nel centro di Milano; tra l’altro con una veste piuttosto insolita per te, solo con voce e chitarra. Cosa pensi della attuale stagione della città?

Io non trovo che Milano stia vivendo un periodo di grande fermento culturale. Almeno non mi pare che ciò avvenga in campo musicale, soprattutto se facciamo il confronto con fine anni Ottanta e la decade Novanta. Oggi c’è maggiore omologazione e, alla fine dei conti, meno posti in cui ascoltare buona musica…

 

Se c’è un Dio è invece una canzone strana, con tema metafisico. Decisamente molto diversa dalla seriosità che aveva Io confesso, con cui qualche anno fa hai conquistato la Sanremo più tradizionale, quella del Festival

È vero: si tratta di un pezzo percorso da un senso di divertimento che non c’era in Io confesso, che peraltro era molto sincero. Qui ho optato per un registro più scanzonato, ironico. D’ altronde non è che per forza la canzone d’autore debba essere intrisa di  sofferenza…

 

Se c’è un messaggio, esplicito e dichiarato, nel disco, ma che vale in termini universali, è invece quello contenuto in Sono come mi vedi, la traccia che apre il lavoro.mauro-ermanno-giovanardi-tour-659x440

Sono versi che ho messo anche in epigrafe, sulla copertina del libretto che accompagna il cd: “Come tutti al mondo/un giorno dovrò dire addio/ ma se c’è un segno che posso lasciare/voglio almeno che sia il mio”. Non ho mai avuto paura di osare, né di mettermi a nudo: ritengo che sia l’unico modo per essere davvero credibile.

 

Le tue canzoni sembrano proiezioni di un intenso immaginario cinematografico; e tu sei il più morriconiano tra i musicisti italiani: eppure non hai mai collaborato con il Maestro romano…

Non c’è una ragione particolare: semplicemente, finora non è successo. Ma lui resta una fonte di ispirazione inestimabile.