Chi lo ha conosciuto non può fare altro che parlarne bene. Si è detto di lui che fosse un uomo disponibile e generoso, quello che si dice un’ottima persona e un ottimo amico. Ma per chi non lo ha conosciuto Renato Scarpa resta un artista che univa alle grandi doti d’attore nella sua dimessa presenza sul set, al trasversale talento di offrire il suo volto al dramma e alla commedia, all’horror o al cinema più stravagante con il tocco di una genialità surreale. Verrebbe da dire che a riguardare la filmografia dell’attore – scomparso improvvisamente a Roma, dove da anni ormai risiedeva, quasi allo scadere dell’anno appena finito – si ha la sensazione che con l’uscita di scena di Renato Scarpa si chiuda ulteriormente un ciclo vivace e prolifico del nostro cinema, quel cinema italiano che Scarpa ha abitato vestendo più panni e più volti. Non era un attore improvvisato, anzi aveva alle spalle gli studi, come si dice. Era nato a Milano e quindi le possibilità non gli sono mancate e dopo il Teatro tascabile, un collettivo teatrale maturato in ambito universitario, ha saputo cogliere le occasioni per approfondire i suoi studi. Frequentò l’Accademia d’arte drammatica ed ebbe, tra gli altri suoi insegnanti, anche Nanni Loy. Si dedicò, quindi, con grande impegno al cinema e al teatro anche nella sua città d’origine al Piccolo di Strehler e Grassi. Il suo esordio sul grande schermo avvenne nel 1969 con la regia dei fratelli Taviani in quel Sotto il segno dello scorpione che fu considerato una cesura nella cinematografia dei due registi toscani.
Di Scarpa colpiva il suo volto mite, la sua figura bonaria e se fu un caratterista, come si dice in gergo per indicare un attore che sa attribuire le giuste caratterizzazioni a determinati personaggi, è anche vero che la sua poliedrica capacità di vestire panni di personaggi differenti e anche opposti, lo collocava ai primi posti di qualsiasi ideale classificazione. Sapeva raccontare i personaggi più introversi fino al limite della patologia e forse il mitico Robertino di Ricomincio da tre di Troisi resta il suo personaggio più emblematico, scavato dentro una malattia che matura dentro la famiglia e con l’incapacità di relazionarsi. Troisi evidentemente colse la sensibilità di Scarpa per questo ruolo, la cui sequenza resta indimenticabile così come l’espressione di Robertino affranto dalle insistenze di Gaetano. Avrebbero ancora lavorato insieme in Il postino di Radford, ma anche questo attribuibile a Massimo Troisi. In quel malinconico film Renato Scarpa interpretava il paziente direttore dell’ufficio postale dal quale dipendeva Mario Ruoppolo. Renato Scarpa sembra, quindi, avere accompagnato il lavoro del geniale attore-regista napoletano interpretando con lui il primo film di Troisi, regista e attore, e l’ultimo che la vita gli consentì di portare a termine. Il suo legame con Napoli, idealmente avviato con Troisi, proseguì qualche anno dopo con Luciano De Crescenzo, che lo volle come il dottor Cazzaniga, il tipico milanese borghese trapiantato a Pomigliano d’Arco allo stabilimento Alfasud, nei suoi Così parlò Bellavista e Il mistero di Bellavista. Avrebbe ancora rivestito un ruolo per lo scrittore e regista napoletano nel 1988, nell’episodio La farfalla nel film 32 dicembre.
Renato Scarpa è stato un attore dotato di una particolare duttilità, qualità che gli ha permesso di dare volto a personaggi diversissimi tra loro, dimessi e impacciati o rigorosi e inflessibili, questo gli ha fruttato una carriera intensa a fianco di molti altri registi, alcuni veri protagonisti della storia del cinema. Un itinerario che ha permesso a Scarpa di maturare innumerevoli esperienze, diventando un punto di riferimento preciso per il cinema italiano. La sua immediata riconoscibilità proveniva proprio da questo passato e con gli spettatori in questi casi si crea un ideale rapporto di fiducia, un altro tipo di amicizia virtuale, con il piacere di ritrovarsi, ognuno nel proprio ruolo, per consolidare il rapporto attraverso il nuovo film, il nuovo personaggio. Forse per questi motivi il suo volto non è mai stato quello di un anonimo caratterista le cui trascurabili presenze restano disseminate tra le tante storie dei film e del quale non ci si ricorda neppure del nome. Al contrario, la sua presenza costituiva una sicurezza, un punto di riferimento preciso per i registi e per lo spettatore affezionato. Fu utilizzato da Verdone nel suo Un sacco bello per Sergio, nell’episodio, con protagonista Enzo, citazione de Il sorpasso. Scarpa in quel film seppe offrire la stessa mite misantropia del personaggio originale, derivata da una sapienza attoriale, che, unita all’umiltà di fondo connaturata al suo carattere, lo faceva essere una persona di grandi qualità, e non per caso, quindi, aveva avuto il privilegio di frequentare i set anche di grandi maestri del cinema. Rossellini lo aveva voluto in Anno uno nel 1974 e successivamente in Il Messia; Montaldo, ancora prima, in Giordano Bruno; da Franco Giraldi in Colpita da improvviso benessere e poi ancora da Dario Argento in Suspiria; Mario Monicelli in Un borghese piccolo piccolo; Liliana Cavani in Al di là del bene e del male; con Maurizio Nichetti aveva avuto una parte in Ladri di saponette e poi molte altre interpretazioni tra cui più recentemente quella con Nanni Moretti in Habemus papam e con Daniele Vicari in Diaz, non lavate questo sangue. La scomparsa di Renato Scarpa impoverisce il nostro cinema, lo priva di un attore di qualità che forse non ebbe mai una parte di protagonista, ma i suoi personaggi e il suo volto mutevole di quegli attori capaci di offrire allo spettatore le sfumature del dramma o della commedia, resterà impresso in tutti quei film che ce lo hanno fatto scoprire e apprezzare che adesso non ce lo faranno dimenticare, come capita con gli amici perduti.