Rupert Everett: per me Oscar Wilde era un santo

The Happy Prince è il film che Rupert Everett ha scritto, girato, interpretato, dedicato a Oscar Wilde. “Il film della mia vita”, lo definisce. Quello che riassume e regala una ragione per esistere a tutti gli altri 45. In The Happy Prince, Rupert Everett è tutt’uno con i chili e la stanchezza di vivere (ma non di farsi sedurre…) del suo ‘idolo’. Intorno a lui, Colin Firth, Emily Watson, Tom Wilkinson, Beatrice Dalle (il suo ultimo amore etero, tanto tempo fa), Colin Morgan. Per farcelo vedere, Rupert Everett ha davvero aspettato tanto… Però gli  piace l’idea che esca adesso, quasi per festeggiare i 50 anni dalla fine della discriminazione degli omosessuali in Gran Bretagna.

 

Le favole di Wilde

The Happy Prince è il titolo della raccolta di favole che Oscar Wilde raccontava, inventandole, ai due figli. E che mia madre mi leggeva quando ero bambino. Adesso so che i principi felici non esistono, che Oscar non era felice… Quel libro è stato il mio primo incontro con Wilde. Per me lui è Un santo. Un mito. La prima star moderna. E, per miei motivi generazionali, una specie di Gesù. Perché per noi ragazzi omosessuali degli Anni 70, lui è stato proprio questo. Per lui dichiarare la propria omosessualità è stato l’inferno. La sua croce… A me l’outing ha chiuso le porte del cinema hollywoodiano di serie A. Nel senso che lì se sei un gay dichiarato puoi fare tutto, anche l’attore, ma non diventerai mai un grande attore. Comunque non ho rimpianti. Anche se oggi non rifarei più questo mestiere.. Ma solo perché il cinema non è più quello, grandissimo, di un tempo.

 

A caccia di produttori

È stato difficile trovare i fondi. trovare i fondi. Cinque anni solo per quello. Volevo finirlo nel 2017, invece ci sono riuscito solo adesso. E ci pensavo già da prima… La svolta è stata quando ho trovato dei produttori in Germania, dove abbiamo girato la maggior parte, e l’italiana Palomar, la stessa di Il giovane favoloso di Mario Martone. Napoli è stata una sorpresa. Oscar Wilde ci ha vissuto dal settembre 1897 al febbraio successivo. Poi andò a Parigi, per morirci il 30 novembre 1900. È una città bellissima. Più della Roma di La grande bellezza. Mentre ero lì, a girare – poco tempo, purtroppo, perché Wilde non si fermò molto e un film non ha lo spazio di una serie tv – ho sempre pensato che non era cambiata molto. Ci arrivò dopo il carcere, quando aveva ancora negli occhi gli sputi della gente, dopo che aveva dichiarato la propria omosessualità. Forse pensava che lui, adorato dal pubblico, sarebbe stato amato lo stesso. Invece dovette scappare dall’Inghilterra. L’ho visto come un uomo distrutto che si aggirava per una città che era stata la capitale di un regno e adesso, poco dopo l’Unità d’Italia, stava iniziando a decadere anche lei.

Il vagabondare di Oscar

Tutti gli altri film su Wilde finiscono quando entra in prigione. Per me invece è più interessante il dopo, il suo vagabondare quando esce e scopre che chi prima lo amava, ovvero tutti, adesso lo schernisce per strada. Nel film ci sono dei flashback sulla prigione, dove scrisse il De profundis… C’è un momento in cui una signora inglese lo riconosce, a Parigi, anche se lui è ormai un povero freak malato e truccato: lei si ferma, poi il marito, riconoscendolo, la porta via. Volevo raccontarne la decadenza. Che è dipesa anche dalle sue scelte. Lui ha scelto di tornare con Bosie, l’amante che aveva significato la fine, perché era stato suo padre, denunciandolo, a portarlo in tribunale, a farlo andare in prigione. Per me è un Dio che è finito nella miseria più nera, per la strada e nelle bettole, insieme ai criminali, alla gente più sordida. E ne era conscio, consapevole. Mi ha attirato la sua fascinazione per la rovina, il suo essere così autodistruttivo.

 

Gli outsider omosessuali

Io non sono ossessionato da lui. Lo sento vicino. Gli devo tantissimo. La parola ‘omosessuale’ non esisteva prima di lui. L’ho portato in scena a Londra, nella pièce The Judas Kiss, proprio quando sono stati riconosciuti i matrimoni gay: lui era stato mandato in prigione e adesso, mentre io lo recitavo, i gay potevano sposarsi. Tra l’altro, riguardando il film, ho trovato che avrei potuto fare meglio, come attore: ma fare anche il regista insieme non è semplice. Infatti non so se replicherò l’esperienza… Comunque, anche se siamo entrambi degli outsider omosessuali, lui era talento puro, io no.