Lo scorso 2 luglio se ne è andato Peter Brook, regista e drammaturgo geniale. Pilastro e punto di riferimento per il teatro contemporaneo, ha diretto oltre 30 spettacoli, una dozzina di opere liriche, 7 film ed è autore di testi teorici imprescindibili. Nato a Londra nel 1925 ma francese di adozione, viveva a Parigi dove, nel 1971, aveva fondato il Centre international de recherches théâtrales che tre anni dopo sarebbe diventato il teatro Des Bouffes du Nord, da lui diretto fino al 2010. Lascia un’idea di teatro rivoluzionaria e iconoclasta e spettacoli memorabili. Su tutti le sue letture di Shakespeare, ma anche di Sartre, Cocteau, Genet, Jarry, Beckett, Cechov, Dostoevskij… Come ha ricordato Le Monde nel lungo articolo che ripercorre la sua sterminata carriera «con lui se ne va una delle avventure teatrali più importanti della seconda parte del XX secolo, che ha fatto del teatro un favoloso strumento di esplorazione dell’umano, in tutte le sue dimensioni». Lo vogliamo ricordare attraverso le sue stesse parole.
«Il regista deve lasciarsi guidare fin dall’inizio da quello che chiamo un “oscuro presentimento” ossia una certa intuizione, potente ma vaga che indichi il primo contorno, la sorgente, a partire dalla quale lo spettacolo gli parli. Ciò che ha bisogno di sviluppare maggiormente nel suo lavoro, è un senso di ascolto. Giorno dopo giorno, intervenendo, commettendo errori o guardando ciò che succede in superficie, deve ascoltare all’interno, i movimenti segreti del processo nascosto. È in nome di questo ascolto che sarà costantemente insoddisfatto, che continuerà ad accettare e a rifiutare finché improvvisamente il suo orecchio interiore senta il suono che sperava e il suo occhio veda la forma che aspettava apparisse. Ciononostante in superficie tutte le tappe devono essere concrete, razionali – le questioni di visibilità, di cadenza, di chiarezza, di articolazione di energia, di musicalità, di varietà, di ritmo, tutto questo ha bisogno di essere osservato in mondo strettamente pratico e professionale. Il lavoro è quello di un artigiano e non c’è spazio per la falsa mistificazione, per i metodi magici contraffatti. Ecco la guida. È ciò che fa che un processo costantemente mutevole non sia un processo di confusione, ma un processo di crescita. È la chiave. È il segreto. Come potete constatare non c’è nessun segreto».
Peter Brook, The Shifting Point, 1987 (trad. Il punto in movimento 1946-1987, Ubulibri, 1995)
«Ogni forma di teatro ha qualcosa in comune con una visita dal dottore. Uscendo uno dovrebbe sempre sentirsi meglio di quando è entrato. Ma meglio come? Fisicamente, spiritualmente, moralmente? Penso dipenda dal senso di responsabilità dell’artista verso il pubblico. Le persone si sono affidate a te per due ore o più e tu devi dar loro un rispetto che deriva dalla fiducia in cosa stai facendo. Alla fine di una serata puoi aver incoraggiato ciò che di triviale, violento o distruttivo c’è in loro. O puoi aiutarli. Per questo dico che un pubblico può essere commosso, affascinato o – meglio ancora – portato a un silenzio che vibra intorno al teatro»
Peter Brook, Tip of the Tongue: Reflections on Language and Meaning, Nick Hern Books, 2017
«[…] osservando come, dal 1971, ho costantemente lavorato per abbattere tutti gli stereotipi razziali nell’assegnare le parti non attraverso dichiarazioni di intenti ma nella pratica quotidiana, penso che la stessa cosa si applichi alle questioni di genere. Si possono cambiare le cose non predicandole, ma facendole – o, come erano soliti dirmi quando lavoravo in Germania: “Sali sul tuo cavallo”».
The Guardian, 2/10/2017 (intervista di Michael Billington)
«Dire che il teatro è prospero, che sta morendo, che è obsoleto, sono splendide frasi a effetto utili per professori o giornalisti. L’unica verità è che il teatro è un’esperienza di vita. Finché è vivo, è vivo. Fluttua e cambia. Se lavoriamo in questa forma o scriviamo su questo, abbiamo la responsabilità di non lasciare che la fiamma si spenga».
London Evening Standard, 6.12.2019 (intervista di Nick Curtis)
«Abbiamo bisogno di molto poco per toccare l’immaginazione e quando giovanissimo andavo a vedere spettacoli immensi e complicati, per me erano meno convincenti di quello che potevo fare con il mio teatrino a casa, con mezzi molto semplici. Ho imparato da mio padre che adorava le citazioni che “un niente è già troppo” . Per me l’unica cosa che è vera e che si trovava in tutte le mie messinscene cinematografiche o teatrali è l’immediato»
Radio France Culture, trasmissione Affaires culturelles, 8.2.2021 (Arnaud Laporte)