«C’erano una volta un povero boscaiolo e una povera boscaiola…». Inizia come una favola classica La plus précieuse des marchandises, il nuovo film di Michel Hazanavicius per la prima volta alle prese con un film di animazione. E in effetti, con il suo messaggio e i suoi lati oscuri, di una favola si tratta. Siamo nel pieno della Seconda Guerra Mondiale: la coppia combatte il freddo e la fame con il duro lavoro nei boschi coperti di neve in un angolo sperduto della Polonia. Sono soli, un figlio perso nella tragedia che rimbomba a poca distanza, ingabbiati in un quotidiano sempre uguale, privo di speranza e affetti. Mentre l’uomo si ammazza di fatica, la donna prega il dio di quel treno che incessantemente passa vicino alla loro foresta, immaginato come carico di chissà quali merci, e che invece porta dentro di sé un’umanità afflitta destinata ai campi di concentramento. La donna prega che il treno le lasci qualcosa di prezioso, utile a sopportare le durezze e la miseria della loro esistenza. E incredibilmente un giorno da quel treno arriva il miracolo tanto atteso: una bambina lanciata nella neve che la donna, senza pensarci un attimo, accoglie come un dono del cielo. Quella bimba crescerà con lei, senza se e senza ma. A nulla servono le proteste violente del marito, che capisce subito che la bambina è ebrea – una “senza-cuore”, come la vulgata popolare di suoi colleghi di lavoro etichetta i figli di quella razza ferita e dannata – e vuole sbarazzarsene. La testardaggine della donna e la dolcezza della bambina scioglieranno la neve che raggela il cuore del boscaiolo e, con l’aiuto del latte di una capra donato da un eremita nel bosco – il volto devastato da una ferita della guerra precedente che non ha però spento la sua umanità – la bambina inizia a crescere.
Sullo sfondo, intanto, fumano minacciose le ciminiere di Auschwitz. Hazanavicius ha tratto La plus précieuse des marchandises da un racconto di Jean-Claude Grumberg, anche cosceneggiatore del film, scritto per i figli. Il tratto del disegno è minimale, le espressioni dei personaggi sono affidate a pochi e semplici tratti, come tracciati da un pennello che incastra gli umani in sfondi bianchissimi di una natura innevata e ostile. La lotta per la sopravvivenza della coppia – presto trasformatasi in famiglia – è un contraltare all’orrore dello sterminio consumato a poca distanza. Se lì l’odio genera una catena di montaggio di morte e sofferenza, nel cuore della donna trovano spazio e albergano l’amore e la pietà, vissuti in maniera quasi trascendente. L’affetto e la dedizione per i figli – per i propri e per quelli degli altri – rappresentano l’unica possibile ancora di salvezza e redenzione a cui aggrapparsi nella tempesta di una immane tragedia. In La plus précieuse des marchandises tutto scorre prevedibile: la morale è semplice – l’amore è più forte della morte, la salvezza richiede cura e attenzione, la generosità è destinata a sopravvivere all’odio – e l’animazione lineare, con sporadici guizzi, si abbandona al fluire della storia più che incarnarla. La voce narrante di Jean-Louis Trintignant – nella sua ultima interpretazione, ad aggiungere un ulteriore tono di solennità – ci intima a guardare il futuro con fiducia, perché nei piccoli gesti di fratellanza emotiva si nasconde la possibilità di salvezza. Una favola piccola, edificante, fin troppo smaccata nei rari squarci pittorici – le vittime ammassate del campo che sembrano uscite da un incubo di Munch – che non riesce però a elevarsi al di sopra della propria enunciazione. E se l’ovvio didascalismo si stempera in una sincera enfasi sentimentale, La plus précieuse des marchandises (in concorso a Cannes77) scorre via senza sussulti, nonostante l’insondabile oscenità del dramma che racconta.