A perdita d’occhio: i misteri infiniti di Trenque Lauquen di Laura Citarella

Ha il senso dell’infinito andare che è proprio dei road movie, ma poi sin dal titolo Trenque Lauquen è un film stanziale, che si incarna nelle viscere di un luogo, nelle sue leggende, attecchisce alle radici della sua vegetazione florida, invasiva ed estranea. Imperdibile capolavoro della narrazione infinitiva, questo film fiume di Laura Citarella (due parti per un totale di 260′) è uno di quegli oggetti cinematografici in cui bisogna perdersi per trovare una via d’uscita comoda e ragionevole, adeguata alle fantasie che evoca, alle emozioni che procura con svagata pertinacia, con svanita insistenza: un avvitamento di storie che ruotano attorno a un luogo, localizzazione a perdita d’occhio nel cuore della pampa argentina, toponimo che in lingua mapuce significa “laguna rotonda”, meno di 500 chilometri a sud-ovest di Buenos Aires, avamposto del nulla ingombro di archetipi di un selvatico sentire, in cui Laura Citarella ha filmato un film a perdita d’occhio e di cuore, mentre metteva al mondo la sua prima figlia, produceva altri film e ne girava contemporaneamente un altro, Las poetas.Insiste su un’assenza, Trenque Lauquen, sulla perdita di una presenza che è il fulcro di un intreccio che sta tra il sentimentale e l’avventuroso, il fantastico e il surreale: Laura, una ricercatrice botanica (interpretata dalla magnifica Laura Paredes, che ha scritto il film assieme alla Citarella), è svanita nel nulla. Le sue tracce si perdono attorno alla palude, dove stava studiando alcune piante caratteristiche, e negli scaffali della locale biblioteca, dove aveva rinvenuto le tracce di un carteggio amoroso di un’altra donna, anch’essa scomparsa tempo prima.

 

 

Le onde radio della locale emittente hanno trasmesso per un po’ la narrazione di quella storia d’amore misteriosa fatta da Laura prima di scomparire, seguendo le tracce di un altro evento soprannaturale che ha segnato, pare, la comunità. Strane presenze, creature misteriose che si muovono nella laguna, una villa ai margini della natura selvatica in cui vive una coppia di donne scostanti, inquiete, inquietanti, con le quali Laura, scopriremo nella seconda parte, ha instaurato una incerta relazione. Il tutto sospeso tra l’incedere delle ricerche nel presente e le rievocazioni narrative degli eventi trascorsi, in quel classico processo (s)compositivo che segna la magnitudo straordinaria delle narrazioni di El Pampero, la società di produzione (più che altro un collettivo) che sta scardinando le formulazioni del fare cinema argentino sull’onda degli spiazzamenti orditi da un po’ di tempo in qua dal grande Mariano Llinás (Historias Extraordinaria e poi il formidabile La Flor…). Le due parti di Trenque Lauquen (128′ e 132′) compongono un dittico scandito sul flusso di uno svelamento impossibile, di una realtà che non necessariamente corrisponde alla verità, fattore del tutto insignificante in un processo creativo e narrativo che sostituisce alla coerenza della linearità la libertà di una circolarità che si avvita sul divenire astratto dei personaggi e degli eventi. Sicché la linea narrativa progressiva offerta dalle ricerche condotte con inane pertinacia dai due uomini innamorati di Laura (su cui si struttura la prima parte) si assomma la traiettoria in dispersione spaziale su cui si avvita la seconda parte. Dove Laura Citarella si affida alla fuga della sua protagonista nei paraggi della palude, quando la ricerca della sua eroina epistolare sparita nel nulla le fa reincarnare il mistero di quella scomparsa, in una mise en abyme del mistero che diventa struttura di una narrazione tanto trasparente quanto rigorosa.

 

 

Che poi è il grande, affascinante miracolo del cinema che Llinas, la Citarella e tutto El Pampero stanno realizzando, questa capacità di costruire opere magniloquenti e astratte allo stesso tempo, tanto rigorose e complesse nella composizione narrativa quanto svaporate e impalpabili nella resa affabulatoria, inafferrabili eppure evidentemente concrete… Il soffio vitale sul fango della palude viene dalla capacità della Citarella di incardinare la narrazione archetipale (epistolare, romantica, avventurosa, fantastica) sulla porosità evocativa dei luoghi, sulla pregnanza assoluta dei paesaggi ambientali e umani in cui si muovono, la cui arcaica concretezza reincarnano nelle elaborazioni di un immaginario svagato eppure potentissimo. La scrittura (intesa come sceneggiatura) si traduce in un gesti filmici peculiari, che costruiscono una tessitura visiva lenta, in cui lo sguardo si perde. La presenza di Laura Paredes, dolce e selvaggia, segna una figurazione sempre affascinante e misteriosa, in cui si incarna il senso stesso di questo film necessario, tanto perso da essere imperdibile.