Ambizioni e risultati: Jennifer Kaytin Robinson rifà So cosa hai fatto

Oggi è più facile da accettare data la lunga distanza trascorsa, ma già all’indomani del primo Scream, gli osservatori più attenti compresero subito come la furba scrittura di Kevin Williamson avrebbe faticato a mantenere le promesse del nuovo enfant prodige dell’horror senza l’apporto di una regia straordinaria come quella di Wes Craven – non a caso va ricordato come il regista di Cleveland era stato l’unico a centrare la giusta chiave di lettura del progetto dopo il rifiuto di tanti suoi colleghi. In realtà, a dimostrare subito la correttezza dell’assunto arrivò il successivo progetto dello sceneggiatore, quel So cosa hai fatto che confermò la ristrettezza di vedute di una formula slasher già appiattita su dinamiche classiche e poco sorprendenti. Ciononostante, il film ottenne un ottimo successo commerciale, complici anche le presenze nel cast di volti forti della serialità televisiva d’epoca (Jennifer Love Hewitt da Cinque in famiglia e Sarah Michelle Gellar da Buffy l’ammazzavampiri), dando vita a una saga che oggi, puntualmente, torna a battere cassa con l’ennesimo revival.

 

 
Williamson non è più della partita, come già nei precedenti seguiti, mentre spicca la presenza forte di Jennifer Kaytin Robinson, che Variety aveva inserito nella top 10 delle sceneggiatrici da tenere d’occhio e che qui dirige, scrive insieme al giornalista di Time Sam Lansky e mantiene anche il ruolo di produttrice esecutiva, tanto per chiarire le ambizioni. L’approccio, in ogni caso, è quello consolidato, con dei nuovi protagonisti che provocano loro malgrado un incidente in cui ci scappa il morto e cercano di mettere a tacere la cosa, salvo essere perseguitati, un anno dopo, dal pescatore con l’uncino. Essendo ambientato nella stessa cittadina dei fatti del 1997, anche i sopravvissuti storici tornano in gioco per aiutare i malcapitati e attirare il pubblico che ritrova i volti familiari della già citata Hewitt e di Freddie Prinze Jr. (oltre a qualche cameo inaspettato). Se la parte iniziale del racconto segue binari già percorsi in precedenza, è nel terzo atto che le ambizioni della Robinson arrivano a fare capolino, allineando il film alle tematiche sull’amicizia femminile che si contrappone all’aggressività maschile (incarnata dalla figura dell’assassino mascherato), già esplorate nella serie Sweet/Vicious e, in maniera più lieve, nell’esordio di Someone Great. Emerge in questo modo una dicotomia abbastanza netta fra l’universo maschile e quello femminile, che si intreccia alle dinamiche sul potere rappresentate tanto dal padre-padrone della cittadina (che tiene a libro paga la polizia e ha imposto l’oblio sui fatti del 1997) quanto dal prete su cui si concentrano i sospetti, fino ai moventi reali del killer, in cui pure predomina una dinamica di dipendenza e controllo, oltre che di complessa elaborazione del trauma.

 

 
È un peccato che di traverso si innesti però una visione abbastanza classista dove i protagonisti sono dei giovani borghesi aggrappati a una visione del lusso da MTV Cribs d’annata, che non viene mai messa in discussione, mentre chi lotta contro i traumi è posto in contrapposizione. La confusione percettiva si ritrova parimenti nell’approccio schizofrenico di una scrittura che tenta di giostrarsi fra la furbizia del già noto, con dinamiche consolidate e i volti amati dal pubblico, e una volontà anti-nostalgica enunciata dai dialoghi e da alcune scelte finali. Una sorta di elaborazione in fieri del rapporto difficile tra un’industria che invoca sempre sequel e gli autori interessati a imporre invece una propria visione, ma che di fatto produce un risultato incerto e contraddittorio, più irritante che davvero capace di scardinare le regole. Se il parallelo più facile è quello con Matrix Resurrection di Lana Wachowski, la consapevolezza di quanto ancor più velleitario sia il voler applicare simili approcci a una saga da sempre poco onesta nei confronti del suo pubblico e di fatto di mediocre fattura, permette comunque di licenziare il risultato senza troppe rimostranze. In fondo, era prevedibile aspettarsi poco, perché questi film… sappiamo cosa hanno fatto.