Animotion – Cambiamento e redenzione, dalla DreamWorks arriva Troppo Cattivi 2 di Pierre Perifel e JP Sans

Della DreamWorks postpandemica abbiamo scritto già altrove quando non mancavamo di sottolineare l’impatto significativo avuto nei confronti del mercato del cinema d’animazione e per famiglie, nonostante il settore stia attraversando una fase di delicata transizione e ricognizione. Applicando uno schema molto funzionale in passato, la major di Glendale non ha fatto altro che investire sui due vettori che fin dalle origini hanno contraddistinto il proprio stile produttivo, un equilibrato marchingegno in grado di coniugare sperimentazione artistica e intrattenimento a importanti risultati commerciali. Così, non casualmente, nell’ultimo lustro la factory dei “sogni e del lavoro” ha operato in modo pragmatico, tanto nei confronti del proprio pubblico (cresciuto, ma anche rinnovato) quanto di fronte alle aspettative (e alle regole) di un mercato profondamente stravolto, insistendo fortemente sul consolidamento di uno status quo imprescindibile: rovesciare l’ordine e mantenersi indifferentemente meraviglioso e bizzarro, sovvertire e alterare gli schemi sbriciolando il sistema di attese dello spettatore, affabulare indistintamente con acume e risate, paura e commozione.

 

 
Oggi il cinema della DreamWorks Animation attraversa uno splendido stato di forma come confermano gli ultimi due titoli realizzati, entrambi trasposizioni di opere letterarie (come consuetudine da queste parti): Troppo cattivi 2, sequel del primo sottovalutato capitolo, e Dogman – Il film, altro tentativo riuscitissimo di commistione di generi, fonti di ispirazione e modelli narrativi, ennesimo progetto dedicato all’esplorazione del mondo dell’infanzia, potenzialmente entrambi nuovi volti di una intrigante serialità cinematografica. Se Dogman si presentava come un’avventura animata godibilissima, dal ritmo pirotecnico, ricca di colpi di scena, forte della sua componente cinefila e metacinematografica che strizzava l’occhio ai buddy cop movie e al body horror (da Frankestein a Cronenberg), esilarante, con i tempi comici azzeccati, Troppo cattivi 2 è operazione altrettante energica e per nulla frivola, certamente affine ad altre produzioni di altre major ma a suo modo originale e provocatoria, ritmata e divertente. Diretto da Pierre Perifel e JP Sans, il film riprende il racconto dall’epilogo del primo capitolo e subito si spinge verso una dimensione di ricapitolazione e sintesi, stabilendo un contatto con le intricate visioni della vicenda con protagonisti il gruppo di abili ladri antropomorfi (redenti ma non troppo), e pure con il cinema DreamWorks: Troppo cattivi 2 da una parte rimescola i generi e il gusto per l’eccesso, dall’altra dimostra di intrattenere con una riscrittura intelligente che stimola lo sguardo grazie all’uso di un’animazione bidimensionale e artigianale sempre più caratterizzante (come già in altri titoli, vedi Il robot selvaggio).

 

 
Come Dogman, il sequel si appoggia alle rappresentazioni del mondo infantile per orchestrare storie avventurose e esilaranti, forti di aspre critiche nei confronti del mondo degli adulti (come già accadeva nei vari Baby Boss, Trolls, Capitan Mutanda) e, come nella originaria graphic novel dell’autore australiano Aarn Blabey, affronta grandi temi legati alla contemporaneità: la fatica del cambiamento in una società ancorata al proprio pregiudizio, incapace di perdonare e di credere nella redenzione, la questione delle nuove opportunità da cogliere, il significato del riscatto in un mondo opportunista e abitato dall’egoismo. Ecco che il film allora prende la piega di una riflessione sul cinema di animazione e sulla DreamWorks, da sempre al centro di un ingiustificato ridimensionamento, talvolta sprezzante, e di un pregiudizio critico che l’ha sempre relegata ai confini dell’animazione mainstream, pur avendo da sempre mostrato grande originalità. Troppo cattivi 2, oltre a strizzare l’occhio alla marea di citazioni che si muove da Lupin agli Ocean’s eleven, passando per James Bond e The prestige, ma anche strizzando l’occhio a Gravity, fin dal suo incipit è un film che riflette sull’importanza della veridicità delle immagini quando si assiste alla moltiplicazione di sguardi e schermi che restituisce l’ingombrante portata delle visioni e delle informazioni che governa il mondo, reale e fantastico che sia, terrestre o lunare. Singolare come solo un film DreamWorks è in grado di sostenere, questo secondo capitolo della saga prosegue nella ricostruzione e restituzione di un sistema lavorativo manipolato da logiche assurde, per questo esilaranti ma tremendamente e fantozzianamente inquietanti.