Tomas Vengris, lituano d’origine, cresciuto negli Stati Uniti e qui al suo esordio, sa esattamente cosa vuole dal suo film (anche dal suo cinema?). Motherland è già manuale, consapevole uso del cinema, perfetta sintesi tra idea e forma, tra progetto e manufatto, tra scrittura e immagine. Il giovane regista ha idee chiare e soprattutto stupisce in un esordiente la manifesta maturità artistica con cui trasferisce, nel taglio delle immagini e nella misura delle sequenze, il senso profondo del suo racconto e i turbamenti del suo giovane protagonista. Nel 1992, a dissoluzione avvenuta dell’Unione Sovietica, Viktorjia giovane donna lituana divorziata, torna dagli Stati Uniti per riprendersi la tenuta familiare confiscata dalla Russia comunista. In questo viaggio l’accompagna il figlio Kovas. Come sempre i ritorni svelano sorprese e Kovas imparerà molto da quel viaggio. Chiariamo da subito che il film non è un pamphlet critico rispetto alla politica russa, non è nemmeno un on the road e non è un film sull’attuale assetto della società lituana. Motherland è un film in perfetta sintonia con quel suo titolo che contiene, nell’ambiguità del suo significato, sia il senso di Terra madre, sia quello più domestico, di terra della madre, della madre come universo sconosciuto da scoprire, sintomo dell’evoluzione della crescita e ambizione a nuova consapevolezza delle cose del mondo. Kovas scoprirà che proprio queste non sono esattamente come appaiono in quella complessità che è anche mutazione di sguardo.
Motherland è quindi un film sui sentimenti dell’adolescenza, sulle sue paure e sulle sue incertezze, davanti ad una rivoluzione che mostra il mondo nella sua forma complicata, inattesa, tra i timori dello svelarsi e la curiosità di subirne il fascino, tra ciò che si considerava consolidato e invece si sgretola al solo toccarlo. Tutto il film ruota attorno a Kovas e Tomas Vingris sa descrivere, ma con una descrizione che contiene il pregio della sintesi e quello della minuziosa indagine, il mondo imperfetto che vede al centro il giovanissimo protagonista. Un mondo che lo trova sbigottito e muto davanti alle certezze che crollano e tutto gira attorno a lui, che sembra essere il centro di una giostra che offre la visione panottica del mondo. La camera di Vingris è curiosa, come il suo protagonista, attonita a volte come l’analogo sentimento che Kovas prova, ma soprattutto la macchina da presa in questa sua disambiguazione trasforma il racconto della vita interiore di Kovas in viva materia narrativa, che diventa trasporto sensoriale e simmetrico per lo spettatore, in un ininterrotto processo di spontanea e naturale immedesimazione. Un effetto che possiede una rara potenzialità narrativa nella sua forma che assomiglia a quella di un silenzioso flusso di coscienza per una trasposizione esauriente e stringente. Kovas scopre, fiuta, le sue espressioni sono reali, percepibili e le precoci doti attoriali del giovanissimo Matas Metlevski sembrano fare tutto da sole.
Il mondo di Kovas è distante da quella Lituania che appare quasi selvaggia, ma a stemperare questa distanza ci sono le parole della madre, i suoi ricordi della casa di famiglia che idealizzano quei luoghi trasformandoli in posti familiari, come se da sempre fossero conosciuti. C’è in Kovas il desiderio quasi represso di riconquistare pienamente quella memoria con il ritorno a casa, alla casa della madre.Il cinema che si occupa dell’adolescenza è sempre in bilico tra racconto di formazione e narrazione all’iniziazione alla vita (e la mente corre a Stand by me), Vingris imprime uno scarto al suo cinema e Kovas diventa occhio e orecchie, sguardo e ascolto, sembra scoprire il senso del guardare il particolare. D’improvviso il mondo si epifanizza in quella misteriosa complicazione, tanto da fare venire meno i punti di riferimento conosciuti. La madre è sessualmente attiva, attratta da Ramos, Vingris coglie la rabbia della gelosia del figlio, i suoi sentimenti di estraneità verso quei comportamenti che non immaginava potessero appartenerle. Una cattiveria latente e strisciante domina i comportamenti dei suoi coetanei, una cattiveria che Kovas non conosce. Si infrange ogni certezza e affidamento sulla gentilezza e anche il sesso non ha la stessa attrazione di quello che si vede nelle riviste. La Lituania che Kovas osserva è un altro mondo, duro, estremo e il già dal suo arrivo il suo sguardo è aggredito da un’architettura quasi brutalista, che riflette il disagio, che comunica la persistente estraneità che poi si rinnova nell’incontro a casa della cugina che li ospita. Una casa in cui gli spazi ridotti riflettono altri disagi, altre ristrettezze. Sullo sfondo di questa vicenda intima, in un film tutto costruito su una segreta vita interiore, Vingris tratteggia appena il profilo instabile della Lituania, all’alba di una difficile indipendenza, tra sbandamenti e assestamenti regolati da una violenza pervasiva e quotidiana. Un Paese preda del malaffare e della corruzione. Ma la Lituania è il luogo dell’infanzia felice della madre che ora, di nuovo d’improvviso, sembra essere divenuta infelice. Riecheggiano le sue parole che raccontano quegli anni, ma Kovas con i suoi occhi, con i suoi silenzi rotti dalle poche parole, sa mostrare il suo inutile e chiuso dissenso, entra in collisione con Ramos nuovo amante della madre, tra tradimento inaccettabile sostituzione paterna.
È nel rapporto conflittuale tra Kovas e Ramos, tutto sopito e soffocato dentro i silenzi rabbiosi di Kovas, che va ricercato il suo disagio, la sua insicurezza e la sua ribellione, che sa essere determinata e muta verso sua madre in quel conflitto latente e progressivo che esplode nel finale “rapimento”, vera scena madre che sembra annullare, come in una rivincita ogni paura, ogni conflitto nel gesto adulto della guida. È un crescendo l’istinto del giovane protagonista nel saggiare le poche qualità di Ramos, nell’intuire la sua vera natura di poco di buono, lo avverte nei suoi movimenti sempre sospetti, così come è sospetto tutto ciò che gli gira attorno, già dall’equivoco e desolato ristorante in cui si muovono personaggi equivoci, come equivoci sono i comportamenti di Ramos che sposta borse da un’auto all’altra. Kovas non sempre comprende cosa esattamente accada, ma la sua silenziosa intuizione, catturata con attenzione dalla macchina da presa, sa anche che in ciò che accadde non c’è nulla di buono. Motherland è quindi anche un film di percezioni, sui sottili stati d’animo incompresi, un film sulla crescita e sulla formazione forzata di un adolescente, sulla perdita dell’innocenza, è il racconto di un regista affezionato alla sua terra d’origine che prova, attraverso gli occhi del suo Kovas, a capire la Lituania di quegli anni, per comprendere meglio il suo oggi. Un film che si fa registro tramandato della memoria, quella stessa che ancora le mura di casa sanno esercitare con intatto fascino, quella stessa memoria che si fa per Viktorija più importante del presente. “La casa è tutto e bisogna fare di tutto per riprendersela”, pensa Kovas ripetendo le parole della madre, quella casa oggi cadente, diroccata, simulacro del passato e preda di nuovi barbari, una casa che deve bruciare affinché Viktorija si possa liberare del proprio passato, per guardare al futuro. Motherland è un film complesso e stratificato, pur nel racconto piano che ci propone. Un film che sa donare la segreta bellezza nascosta nel doppio significato del suo titolo in quella specie di genetico imprinting dal quale sembra impossibile liberarsi. Tomas Vengris ha le idee molto chiare, domina la complessa materia che mette in scena, il suo cinema è preciso, spietato nella essenzialità delle sue forme, le immagini sanno parlare con esatta precisione allo spettatore, il vedere-non vedere delle sue inquadrature, di porte che occludono la vista, di primi piani suadenti, che mostrano le forme dei pensieri, restituiscono i sentimenti contrastanti di Kovas, ricordando le nostre adolescenze, le curiosità, le paure e le sofferte esclusioni dal mondo dei “grandi”. Kovas, la Lituania, i ricordi, la casa, i parenti, tutto si affolla in Motherland e poi tutto sembra trovare un magnifico ordine come di chi conosce la strada, dopo essersi perso nel bosco.
Il film è visibile dopo una semplice registrazione su www.artekinofestival.com