Una produttrice di porno gay deve affrontare la fine della sua storia d’amore con la socia/montatrice e lo sterminio seriale di alcuni suoi attori, colpevoli di aver recitato in un film misteriosamente maledetto e uccisi attraverso macabre varianti dell’atto sessuale. Siamo a Parigi verso la fine degli anni Settanta, un’epoca in cui la produzione pornografica, soprattutto omosessuale, mescolava artigianato e libertà. Quella che Yann Gonzalez mette in scena è una strana famiglia anarcoide e sessualmente meticcia contro cui un misterioso assassino scatena la sua ferocia vendicativa. Gonzalez – il cui film d’esordio, Les rencontres d’après minuit, presentato alla Semaine de la Critique 2013, era una sorta di fiaba affabulatoria tutta ambientata durante un’orgia – cerca, in Un couteau dans le coeur (in concorso), la provocazione a ogni costo ma finisce invece per girare un film tutto di superficie, derivativo e fiacco, falsamente ribelle e in realtà canonicamente sentimentale. Il modello ostentato, nella patina traslucida delle immagini e nella stilizzazione violenta degli omicidi, è quello dei gialli di Dario Argento e Lucio Fulci, mentre la deriva gotica della soluzione del mistero occhieggia al melodramma.
Impegnato a raccontare in dettaglio fellatio e sodomie omicide, Gonzalezin realtà marginalizza il sesso, depotenziandone ogni impeto ribelle e raccontandolo in maniera docile e in fondo convenzionale. Non c’è ruvida passione né riflessione queer (siamo lontani dal cinema di Alain Guiraudie, ma anche dai veri blue movies d’epoca di Jean-Daniel Cadinot) e l’impressione che il film lascia è quella di un divertito (ma, ahimé poco divertente) gusto imitativo eseguito da un liceale strafottente che si atteggia a poeta della ribellione. Il film resta una provocazione tutta cerebrale ed estetizzante – non a caso un personaggio, quello dell’operatore di macchina, è affidato a Bertrand Mandico, autore di un altro film che gioca a épater le bourgeois, Les garçons sauvages, presentato trionfalmente alla SIC veneziana –che si rivela traslucida e fasulla. Gonzalez gioca a ricostruire un immaginario a beneficio della comunità a cui si rivolge, ma finisce per restare incastrato in un gioco in fondo masturbatorio e autoreferenziale, curatissimo (dalla fotografia al suono) ma vacuo. Non lo aiutano le interpretazioni goffe e macchiettistiche degli interpreti (in primo luogo Vanessa Paradis) che sembrano, chissà quanto volutamente, uscite davvero da un porno amatoriale. Un couteau dans le coeur poteva anche essere un gradevole scherzo;Gonzalez però non si accontenta di miscelare lo slasher italiano d’epoca con De Palma e Boogie Nights. Si crede un fine dicitore e resta incastrato tra apologia gay, ricostruzione d’epoca e divertissement, finendo per prendersi troppo sul serio e confezionare un film prevedibile, inconsistente, fiacco nella sua fallimentare volontà di stupire.