
Non entrare in quelle case è questione nodale del cinema horror, funzione primaria dell’articolazione perimetrale del male che s’insedia nei luoghi come nei corpi e di lì prolifera nel mondo. Del resto ci sono case e case e diversi livelli di avvitamento gotico, a seconda delle esigenze di un genere che ci abitua a guardare in trasparenza la realtà: a Bruxelles, per esempio, il BIFFF43 ha offerto due declinazioni di relazioni pericolose con le mura domestiche, una di provenienza austro-germanica e l’altra d’area messicana, in entrambi i casi il nodo è legato al possesso e alla possessione, gioco d’attrazione per mura domestiche da vendere o acquistare. L’austriaco Adreas Prochaska costruisce in Welcome Home Baby (in apertura una immagine del film) un dramma psicologico di possessione familiare che ha per protagonista Judith, dottoressa berlinese alle prese con la morte del padre biologico che non ha mai conosciuto e che le ha lasciato in eredita una casa nel cuore dell’Austria. Per quanto del tutto disinteressata alle proprie origini e a quei genitori naturali di cui non ricorda nulla, la giovane donna decide di recarsi sul posto assieme al marito per regolare la vendita e finisce con l’essere irretita dalle trame malefiche degli abitanti del posto, zie e amiche di famiglia in primo luogo, che cercano di convincerla a restare. E che ben presto distendono una tessitura maligna sul tempo e sulla coscienza della coppia, spingendola in un tunnel inquietante, con Judith che si ritrova incinta e costretta a mettere al mondo una creatura destinata a essere matrice del male.

Andreas Prochaska insiste sugli schemi del folk horror (di moda in questi giorni a Bruxelles) per creare un dramma psicologico che irretisce la consapevolezza della protagonista, giovane berlinese destinata a essere vittima delle proprie origini austriache che pure rigetta. Il film è intenso e avvolgente, capace di elaborare una narrazione ipnotica che stratifica la percezione dei livelli di realtà e ci consegna alla progressiva perdita di coscienza della protagonista. In questo ennesimo film sulla maternità maledetta trasfigurata in ossessione e paura, il ruolo della donna è centrale sia sul versante positivo che su quello negativo e crea una tensione capace di irretire lo spettatore.
Questione di una casa da acquistare è quella su cui ruota anche il messicano No dejes a los niños solos di Emilio Portes, dove una giovane madre una sera è costretta a lasciare soli a casa i due figli, il dodicenne Mati e il più piccolo Emi. Ma la casa, che è in… Elm Street, si direbbe maledetta, motivo per cui l’ignara donna sta per comprarla a poco prezzo, basta solo la firma del giudice che sta raggiungendo alla festa organizzata da un amico. Ma la notte è piovosa, i bimbi sono due pesti che litigano, giocano e mettono a soqquadro la casa, la quale è davvero posseduta dallo spirito maligno del vecchio proprietario e forse non solo da lui… Ambientato negli anni ’80, il film è un concentrato di tensione affidata alle schermaglie capricciose dei due tutt’altro che amorevoli bimbetti e alle continue allusioni soprannaturali che corrispondono ai più classici stratagemmi dell’orrore. Con un finale che non lesina in crudeltà, il film diverte con semplicità ed efficacia.