Con o senza l’aiuto di dio, vestita del lutto che porta per la morte di Marko, il marito, Teresa arriva dal Cile sino ai piedi dei monti croati per portare i resti dell’uomo alla sua famiglia. I dipinti che accompagnano i titoli e punteggiano gli snodi della storia mostrano immagini non troppo rassicuranti di sabba demoniaci e gironi infernali e la figura corvina della donna non è da meno, ma lei invoca tra sé e sé la Vergine Maria ed è determinata a trovare una nuova casa per la sua vita in fuga, facendo all’indietro il percorso che aveva portato sino a lei, dall’altra parte del mondo, Marko. Ma quello che Teresa trova al suo arrivo è poco più di una casa disabitata, con solo la sorella negletta dell’uomo, tenuta da tutta la famiglia in scacco perché considerata tarda e quasi muta: i fratelli, i cugini e tutto il resto del clan sono su in montagna con le pecore e bisogna attendere il loro rientro.
Partendo da questo setting calato nell’aspro scenario rurale della Croazia d’inizio ‘900, Hana Jušić costruisce God Will Not Help, la sua opera seconda, presentata in Concorso a Locarno78. Una storia di rivalsa femminile, di identità che si sposta nello spazio e nelle culture per mantenere inalterata la pulsione al riscatto. Il film infatti sta tutto nello spiazzamento portato da questa donna latina nello scenario croato, un lavoro di torsione culturale che passa dall’arduo confronto linguistico e non cerca una sua giustificazione logica, una congruità narrativa vera e propria.

Piuttosto persegue un senso di mistero che è tutto nella capacità della protagonista di ridefinire il proprio destino e quello della comunità in cui si cala. Hana Jušić lavora evidentemente su un assunto di partenza che non bada troppo alla verosimiglianza, lasciando che il film resti un po’ prigioniero di un teorema che sembra scaturito più da una costruzione tematica che da una urgenza narrativa. Teresa è una figura quasi astratta che mobilita con la propria presenza una rivoluzione nell’ordine patriarcale della famiglia croata, portando anche un senso di magia che inverte il rapporto tra bene e male. L’assunto viene incarnato in una regia che transita tra il realismo magico e la rappresentazione rurale, insistendo molto sulla forza scenica della protagonista, Manuela Martelli.



