«Sapeva sempre dove farsi trovare… Di un’intelligenza assoluta…»
Pep Guardiola, a proposito di Roberto Baggio
Velocità di gambe, pallone incollato al piede, incredibile senso della posizione, fantasia sconfinata, letterale immarcabilità…Nel gioco del calcio, se c’è stato un campione italiano in grado di ubriacare e saltare l’avversario/gli avversari (erano costanti i “raddoppi” su di lui) come nessuno mai, quello è Roberto Baggio, uno dei più grandi fuoriclasse di sempre. Chi ha tifato per le squadre in cui ha giocato – anche se per poco tempo – porta ancora nel cuore tantissimi gol, bagliori sportivi, aneddoti, magie. A Bologna, ad esempio, ha giocato per un solo anno, eppure gli è bastato per conquistare un’intera città, una piazza non certo facile (sportivamente parlando). Ecco perché il film Il divin codino (dal 26 maggio su Netflix) ha un suo valore e un suo fascino. Riesce a svincolarsi almeno in parte dai colori di un team (a eccezione di Vicenza, Fiorentina, Brescia) per concentrarsi soprattutto sull’uomo, la formazione, il buddismo, le contraddizioni (la caccia praticata con il padre), sull’icona della Nazionale azzurra e sulle fragilità. È difficile avere un punto di vista davvero critico su Il divin codino (film), perché, come per molti italiani della mia generazione, è difficile avere un punto di vista davvero critico sul “divin codino” in carne ed ossa.
Baggio evoca solo la passione totale per il miglior calcio e il tifo genuino per la Nazionale. È l’emblema di una classe e di un genio sportivo senza fine che, nonostante il Pallone d’oro del ’93, 2 scudetti, 1 Coppa Uefa e una Coppa Italia, avrebbe sicuramente meritato molto di più, in termini di vittorie personali e di squadra. Per leadership silenziosa e ancor più – da vero campione – per la capacità di rialzarsi e rinascere sempre da sconfitte, infortuni, colpi bassi, ingiustizie subìte o un rigore decisivo sbagliato. Ad esempio, non gli è stato concesso l’“ultimo mondiale” da Trapattoni – il film lo ricorda – quello disastroso per l’Italia di Giappone e Corea 2002. Stefano Piri nel suo Roberto Baggio. Avevo solo un pensiero (ed. 66th & 2nd) lo definisce efficacemente come «…l’ultimo fuoriclasse italiano del Novecento e il primo del nuovo millennio, l’ultimo che può permettersi una corporatura da mimo e il primo a diventare un’icona nella nuova celebrity culture sportiva globale, dove atleti come lui e Michael Jordan trascendono le squadre in cui giocano, i risultati e perfino la popolarità degli sport che li hanno resi grandi…».
Il divin codino di Letizia Lamartire – tratto dalla biografia di Raffaele Nappi (ed. Perrone) – mette bene a fuoco la giovinezza, il rapporto conflittuale con il padre Florindo (magnifico Andrea Pennacchi), dalla battuta sempre pronta e tranchant. A caccia insieme, Baggio padre e figlio, Roberto: «Provo un forte desiderio di spararti!»; papà Florindo: «Ocio, a non tirare troppo alto anca stavolta!». Infine, narra il rapporto ancor più conflittuale con il CT della Nazionale di USA ‘94, Arrigo Sacchi (Antonio Zavatteri): il labiale, in mondovisione, «questo è matto» e, in spogliatoio, quando Sacchi predica il metodo “un tocco solo di palla per tutti”, «Mister, con un tocco solo, io come faccio a saltare l’uomo?». Il film si avvale di un cast notevole (bravo e credibile Andrea Arcangeli nel ruolo principale, altrettanto in parte e spiazzanti papà Pennacchi e coach Zavatteri) e di una colonna sonora di pezzi d’epoca incredibile per una produzione italiana (Oasis, Black Keys, Smashing Pumpkins, Bruce Springsteen…) e infine il singolo ad hoc di Diodato, L’uomo dietro il campione.
A proposito di musica, è discutibile l’uso che viene fatto della bellissima ballata springsteeniana Paradise, due voci e due punti di vista radicalmente opposti sull’11 settembre, una terrorista suicida e il famigliare di una vittima. Che senso ha Paradise sulle immagini di un abbraccio riconciliatorio tra un padre e un figlio calciatore di Caldogno? Un azzardo poco condivisibile. Perfino più discutibile dello smaccato product placement di una celebre marca di patatine…Unica altra nota critica: nella conferenza stampa e nelle recenti interviste di presentazione del film, Baggio ha spiegato come è nato il celebre codino (“copiato” dalle treccine di una cameriera americana). Perché dettagli di vita così veri e sconosciuti come questo non sono stati raccontati dal film? Forse la migliore intuizione di Lamartire è quella di dare un sapore nazionalpopolare a una delle icone calcistiche più schive di sempre (per quanto nazionali). Non ambisce infatti all’epica calcistica (forse irreplicabile al cinema, più di ogni altro sport), ma trova un proprio sguardo umano, pop e molto “italiano” sull’uomo (figlio, marito e padre) e sul campione. Come l’emblematico e quasi onirico finale all’autogrill…
Baggio: «La rabbia non serve a niente». Florindo: «Chi l’ha detta questa, Budda?».
Rivedere Roberto Baggio, anche se nella finzione cinematografica, è/sarà uno shock emotivo per chiunque abbia avuto la fortuna di vederlo in azione nelle “notti magiche” del nostro calcio…
Grazie di cuore, Roberto!