Un altro esordio segna lo ShorTS 22 di Trieste ed è quello della colombiana Diana Montenegro, che si incarica di indagare con un film, che è essenzialmente un racconto di formazione della giovane protagonista, il mondo femminile diviso tra antiche superstizioni e un presente fatto di coppie inesistenti o di quelle che sarebbe stato meglio non fossero mai state messe in piedi. Ancora una volta è il mondo maschile ad avere la peggio in questo racconto nel quale il desiderio delle donne non sembra mai potersi sublimare, restando, piuttosto, ad un livello di realtà contingente, di momentaneo appagamento, senza respiro per il futuro. Un film che sa offrire una versione del mondo femminile latino-americano discretamente lontana da ogni stereotipo di marca sudamericana. In El alma quiere volar, titolo evocativo di un costante desiderio di trasformazione della propria vita, la piccola Camilla trascorre le vacanze dalla nonna con l’avvenente zia e la madre. Il suo mondo è dominato quindi dai riti e dai discorsi declinati al solo femminile e gli uomini distanti, se non inesistenti. Il padre di Camilla è violento con la madre succube e incapace di reagire; il nonno è malato, su una sedia a rotelle vittima di un parkinson aggressivo che lo rende inebetito; intanto si succedono i compagni della zia, che non riesce a trovare un uomo sincero a cui affidarsi. È in questo clima, che le donne a volte sanno rendere anche allegro, che la piccola Camilla prega la Madonna affinché sua madre e suo padre si separino. In famiglia si dà credito ad una superstizione che vorrebbe che una loro vicina di casa, una certa Felicia, abbia inflitto una maledizione alle donne di quella casa.
Piuttosto che di maledizione, in realtà, ancora una volta si tratta di solitudine e di lontananza dal partner. Queste donne, coralmente coinvolte nella vicenda con a capo l’ancora poco meno che adolescente Camilla, inventano la propria vita dentro questa lontananza e i loro riti solitari o di comunità restano il surrogato di un forzato dimezzamento della loro vita. L’esordiente Diana Montenegro sa muovere la sua macchina da presa restituendo la quotidianità domestica, ma di un mondo quasi esclusivo dentro un tempo indefinito. È proprio quello del tempo e della sua scansione, il tema più interessante in relazione alla tessitura filmica che ne fa la regista. Forse, derivando il suo cinema, ancora non del tutto maturo (ma d’altronde come potrebbe esserlo al suo esordio?), da quel realismo magico che costituisce l’ossatura più o meno evidente di ogni struttura narrativa nel continente latino-americano, Montenegro sa restituire questa sensazione di tempo indefinito e allargato in molte delle sue sequenze. Tra queste una in particolare va ricordata per la sua bellezza compositiva e il senso di solidarietà che dura nel tempo. La famiglia femminile è composta su un letto e i corpi ne sanno formare quasi uno solo, in cima il Crocefisso a chiudere la composizione. La macchina da presa scorre in orizzontale e attraversa l’intera camera offrendoci, al suo passaggio, le protagoniste in questa unità e poi sa proseguire per trasformare l’immagine in condizione temporale. È proprio in questa condizione che la regista sa costruire quel tempo orizzontale, infinito e immutabile nel quale le vite delle sue protagoniste sembrano ristagnare, nonostante le numerose abluzioni che ripuliscono quei corpi malfermi e invecchiati, come quello della nonna ottantenne che prova a fare da collante tra le diverse situazioni che le proprie figlie soffrono.
Nonostante i suoi difetti – un certo insistere forse inutile in alcuni momenti in cui i fatti si manifestano con chiarezza – il film della giovane regista colombiana è dotato di un’estetica invidiabile e per nulla comune. Sa farsi racconto lieve di una riaffermata intimità femminile laddove l’elemento acquatico diventa essenziale per la rinascita del corpo e dell’intera esistenza. El Alma Quiere Volar sembra radicare ogni sua scelta essenziale, riguardo alle sue protagoniste, in questa cura quasi ossessiva del corpo, che comprende l’avena per il viso o l’uovo rotto nell’acqua per divinare lo stato di salute, lo strofinarsi collettivo delle pietre sul corpo per migliorarlo. Riti, dunque, lontani nel tempo e da ogni razionale volontà ma, piuttosto propiziatori per il futuro come quello di ripetere per 1000 volte il nome di Gesù per ottenere grazie e miracoli. Le anime di queste donne e della piccola Camilla restano con il desiderio di volare, intrappolate in un presente che non sanno decifrare e non sanno a pieno interpretare. Diana Montenegro prova a dare forma a questo scontento e punta tutto sulla sua piccola Camilla, che per protesta colora di rosso il viso della statuetta della Madonna. I riti sembrano rompersi e i tabù potrebbero cominciare a infrangersi, ma nel presente non c’è ancora uno sguardo pieno e sicuro verso il futuro.
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