F1 – Il Film di Joseph Kosinski: la fusione tra potenza del cuore e immagine-movimento

Sonny Hayes (Brad Pitt) sta dormendo nel retro di un van scorticato quando improvvisamente lo vengono a svegliare. È il suo turno: deve prendere il volante di una Porsche e guidare il turno di notte della massacrante 24 ore di Daytona, una delle gare automobilistiche più importanti d’America. Improvvisamente quell’uomo ormai avanti con gli anni entra nel suo mondo ideale o, meglio, rientra in se stesso. Spericolatamente recupera posizioni su posizioni fino a lasciare al compagno che lo dovrà sostituire la prima posizione. Torna a dormire e intima al collega di non azzardarsi a perdere o lo ucciderà al suo risveglio. Sonny è un pilota che ha vissuto già troppe vite: promessa della Formula 1 la cui carriera è stata tranciata da un terribile incidente, consumatore seriale di soldi e relazioni (è stato compulsivo giocatore d’azzardo professionista e alle spalle ha un paio di divorzi e chissà quante relazioni finite male): un uomo che da troppi anni ha l’avvenire dietro le spalle. L’ultima, insperata occasione di rinascita gliela offre un vecchio amico, Ruben (Javier Bardem), ex collega-rivale in pista e ora proprietario della peggiore scuderia della Formula 1: neanche un punto nel campionato e il prospetto di un fallimento se le cose non cambieranno. Ma la macchina è un catorcio e i piloti che la guidano non hanno esperienza. Ruben offre a Sonny un posto alla guida per salvarsi la faccia e forse per regalare un ultimo possibile palcoscenico a un uomo sul viale del tramonto.

 

 
Sonny tentenna, poi accetta presentandosi in pista, arrugginito e sbruffone, come un eroe vecchio stampo. F1 – Il Film sceglie subito di dichiarare un’impostazione classica: il protagonista tormentato in cerca di un’affermazione fuori tempo, il giovane rivale che inizialmente lo snobba e poi impara a imparare, il risbocciare di emozioni e sentimenti a lungo sopiti, l’amicizia come specchio maschile di una fragilità nascosta dall’orgoglio, persino l’amore che fa nuovamente capolino. La struttura narrativa di F1 è smaccatamente agée, rimanda consapevolmente a un’epoca d’oro del cinema americano ma lo fa dosando nostalgia e innovazione, canone e anarchia. Pitt incarna Sonny recuperando lo spirito di un Paul Newman o di uno Steve McQueen: rughe ostentate e ironia caustica, gusto per la provocazione e necessità di una rivalsa che gli restituisca senso e orgoglio. Ma questa lettura del canone sportivo – ancora di più: di velocità e motori – viene riscritta con un alfabeto contemporaneo. Joseph Kosinski, come aveva già dimostrato in Top Gun: Maverick, ha un senso spiccato per contrapporre malinconia per il passato e sguardo puntato al futuro. F1 non è da meno: adatta una storia che non si potrebbe pensare più classica a una messa in scena modernissima. Governa con maestria le mirabolanti scene di corsa, inserisce l’arrugginito protagonista – quasi un eroe western tornato da una valle solitaria – nel turbinio di luci, loghi, tecnologie di cui sbrilluccicano lo sport e il cinema di oggi. Riuscendo, grazie a questa contrapposizione quasi dicotomica, a resuscitare un genere e a dargli nuova credibilità. Andando avanti – gara dopo gara, sorpasso dopo sorpasso, incidente dopo incidente – F1 trova miracolosamente un suo compromesso spazio-temporale diventando uno spettacolo di luci e sentimenti, di cuore e asfalto, con esiti quasi sperimentali. Kosinski mescola piani della realtà – i piloti delle vere competizioni, i brand pubblicitari che coprono ogni centimetro di ogni macchina, di ogni circuito, di ogni tuta da gara – per crearne una parallela capace di far rivivere i valori fondanti del cinema americano classico: l’eroe solitario e ferito, l’amicizia come mezzo di realizzazione, la fiducia da conquistare, il lavoro di gruppo come unica possibilità di successo (sì, suggerendo che anche il cinema, come lo sport, è un gioco che si vince insieme).

 

 
E mentre va in scena questo riassunto dei valori della Hollywood classica, sullo schermo l’immagine tende all’astrazione più completa, fatta di folle velocità, di rumori assordanti ma non dissonanti, con i circuiti di Las Vegas e Abu Dhabi che diventano strisce attraversate nella notte da puntini colorati (le macchine che sfrecciano) e da esplosioni di luci (i fuochi d’artificio che sottolineano la vittoria). F1 – Il film è, in fondo, una dimostrazione di forza, al tempo stesso narrativa e tecnica, che non si fa mai muscolare. Acquista anzi il suo senso più profondo nel rivelare il vero nocciolo della questione: la fusione tra potenza del cuore e immagine-movimento. Insomma: cinema.