Il cliente. Un meccanismo a orologeria

445296C’è sempre qualcosa che cambia all’interno dei film di Asghar Farhadi, come se il punto sia l’osservazione delle trasformazioni che possono avere origine e la loro ramificazione a partire da un evento centrale, esterno, ma non estraneo alle vite dei personaggi. Così è anche in Il cliente (Forushande o Salesman nel suo titolo internazionale), che si potrebbe definire una non-storia, dal momento che non esiste in esso un vero succedersi di eventi, e nulla di ciò che accade si espone davanti alla macchina da presa, ma anzi, si compie in un altrove circoscritto, e quasi sempre invisibile. Basti pensare all’inizio, al palazzo che sta per crollare perché fuori una gru lavora minando le fondamenta. Poco prima le immagini senza commento del palcoscenico di un teatro, arredato, come sapremo in seguito, per ospitare la piéce Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller. È proprio il caso di dire ‘qui e altrove’, secondo una logica duale che domina l’intero film, a partire dai due inizi, il teatro disabitato e muto, quasi in penombra, e l’appartamento che trema improvvisamente, con tutti gli abitanti del palazzo che si agitano e si affrettano ad andarsene. Il vuoto e il pieno, l’immobilità e l’azione. Fin da subito le regole della drammaturgia dell’ambiente prendono il sopravvento, come se tutto fosse stato studiato per gli spazi di questa doppia rappresentazione. Due realtà a confronto e allo specchio, necessarie per innescare nei personaggi il confronto, il senso di vergogna e il desiderio di rivalsa. Proprio come il dramma di Miller, il film di Farhadi si presenta come una parabola morale che attraversa un processo di conoscenza e consapevolezza fino al finale, che ha l’aspetto di un dramma nel dramma, con i suoi protagonisti e i suoi spettatori, e sarà seguito a sua volta da un secondo finale, a teatro, con il suo tragico epilogo.

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Farhadi, che da sempre costruisce i suoi film come un orologiaio, considera il cinema un meccanismo da costruire nella sua perfezione, e non intralcia il fatto che ci siano troppi ingranaggi a creare il movimento, perché l’importante è che quest’ultimo sia il risultato di incastri millimetrici. Si deve avere la pazienza di accumulare tutti i dettagli, farne tesoro per quando serviranno al progredire dell’azione. Il piano retorico è quello dell’allusione, a partire come sempre da alcuni oggetti e da una casa in via di “rielaborazione”. Quando Emad e Rana si trasferiscono nel nuovo appartamento, prestato loro da un amico che fa parte della loro stessa compagnia teatrale, lo spazio e le inquadrature, si riempiono di oggetti, proprio come i lampadari, la vernice sui muri, le mensole nel precedente Il passato. Qui si tratta di 1332un furgoncino, gli oggetti personali di una donna (che poi si scoprirà essere di facili costumi) e del suo bambino, un mazzetto di banconote lasciate su un ripiano, i disegni infantili sul muro di una cameretta. Ancora una volta dettagli di un passato inaccessibile condizionano i gesti del presente e diventano il motore dell’orologio di cui si diceva. Allo stesso modo in cui gesti non visti diventeranno il centro di un’indagine esasperata, volta a scoprire cosa sia davvero accaduto quando la macchina da presa guardava altrove, appunto. Chi si è introdotto nell’appartamento della coppia? Cosa davvero è accaduto alla donna sola in bagno? L’equivoco è l’unico punto certo, ma la sua natura è l’esagerazione e non tarderà ad affermarsi come criterio di rappresentazione e sviluppo. Ecco il culmine della parabola: l’affermazione di una realtà ambigua, che sfugge in ogni sua forma. Confusi e sorpresi dal delinearsi dei fatti, Rana e Emad diventano via via gli osservatori di una dinamica di rivelazioni successive di cui hanno da tempo perso il controllo. Davanti a loro, infatti, appaiono nuovi “attori” e nuove situazioni, mentre si ha l’impressione che gli effetti di tante confessioni e pentimenti non avranno fine. Ci saranno conseguenze apparentemente invisibili e insignificanti, invece profondamente incisive nella stabilità delle loro vite, che traballano da quando le fondamenta del palazzo hanno iniziato a cedere.